“Zen – Sul ghiaccio sottile”: una storia delicata che parla di accettazione

L'opera prima di Margherita Ferri, presentata a Venezia, è prevedibile ma densa, intensa e coinvolgente

Un film di Margherita Ferri. Con Eleonora Conti, Susanna Acchiardi, Fabrizia Sacchi, Edoardo Lomazzi, Alexandra Gaspar. Drammatico, 87′. Italia 2018

All’anagrafe, la sedicenne Maia Zenasi è una ragazza. Per i suoi compagni di liceo è una “mezza femmina” e una “lesbica di merda”. Ma dentro è Zen, un ragazzo che ama l’hockey e ha un debole per Vanessa, compagna di classe fidanzata con il bullo Luca. Quando Vanessa chiede a Maia le chiavi del suo rifugio di montagna per andare a fare sesso con Luca, Zen gliele consegna. E quando Vanessa deciderà di nascondersi nel rifugio per sottrarsi alle consuetudini di una vita già preordinata sarà Zen il suo modello di anticonformismo.

 

Presentato alla 75° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, “Zen – Sul ghiaccio sottile” è l’opera prima della regista Margherita Ferri e racconta la storia di Maia, detta Zen, unica giocatrice della sua squadra di hockey e per questo bullizzata dai suoi compagni.

Be’ in realtà anche la sua confusione sull’orientamento sessuale e l’attrazione per l’amica Vanessa non sono visti di buon occhio dagli altri. Quando quest’ultima scapperà di casa chiederà aiuto proprio a Zen, rifugiandosi nella sua casa nell’Appennino emiliano. Sarà il luogo di una profonda simbiosi tra le due e della nascita di una relazione in cui ammettere le proprie verità, l’una all’altra ma anche a se stesse.

Zen, sorta di alter-ego di Maia, è la sua protezione contro le angherie che subisce e contro i pensieri che non comprende, che respinge nella sua mente adolescenziale. Vanessa è quasi il McGuffin che la porta a – perdonate il riferimento – sollevare il “velo di Maya”.

Storia delicata su come accettarsi, capirsi e amarsi. Film intimo e intimista, di prese di coscienza e accettazione di sé. Il tema non è originale, ma è sviluppato in modo mai banale o scontato, anzi quasi necessario.

Riuscire a portare il pubblico è entrare in sintonia con la giovane Maia, con i suoi dispiaceri, i dubbi, le paure e a lottare al suo fianco contro i “demoni” interiori ed esterni, è il grande merito della sceneggiatura. Sceneggiatura che sicuramente è prevedibile, un poco citazionista e prolissa, ma comunque densa, intensa e in alcuni punti memorabile.

Degna di nota è la regia della Ferri, al suo primo film, che dimostra di avere una grande consapevolezza e un proprio stile. Padroneggiandolo e calibrando degli esercizi di stile un po’ troppo scolastici potremmo sentir ancora parlare di lei.

 

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