“The seed of the sacred fig”: l’Iran più oscuro in un film di estremo coraggio

Mohammad Rasoulof realizza un'opera militante, che da voce a chi se la vede soffocare

Un film di Mohammad Rasoulof. Con Soheila Golestani, Missagh Zareh, Mahsa Rostami, Setareh Malek, Niousha Akhshi. Drammatico, 168′. Iran 2024

Amin ha finalmente ottenuto, dopo due decenni di lavoro, la promozione che attendeva: è ora addetto agli interrogatori e spetta a lui rinviare dinanzi al giudice gli accusati per una condanna che poi sarà certa. Ha una moglie devota e due figlie che studiano. La maggiore ha un’amica che viene gravemente sfigurata durante una manifestazione. Come aiutarla senza farlo sapere al capo famiglia? Per di più l’arma che e stata consegnata ad Amin al momento della promozione scompare da casa e lui rischia il carcere se non la si trova.

 

Ciclicamente leggiamo o ascoltiamo storie e vediamo immagini provenienti dall’Iran di proteste e di insofferenza da parte degli studenti e delle donne contro l‘oppressione e la repressione degli ayatollah per mano dei Guardiani della rivoluzione islamica e dei servizi segreti.

Le storie di vite spezzate per motivi a nostro modo di vedere futili come un velo indossato in modo scorretto sono tristemente note. Ma cosa sappiamo realmente della società iraniana? Una famiglia cosiddetta “normale”, che vive integrata nel sistema, è immune ai venti del cambiamento?

“The seed of the sacred fig” di Mohammad Rasoulof apre, forse per la prima volta, uno squarcio nel monolite iraniano.

Iman (Zareh) è un marito e padre di due figlie, che da vent’anni lavora nella polizia iraniana. La sua promozione al grado di investigatore, passaggio necessario per poi ambire al ruolo di giudice, è nell’aria e con la moglie Najmeh (Golestani) sono uniti nel raggiungimento di questo obiettivo.

Dal momento che le “trappole” tese dagli invidiosi e le false denunce potrebbero far saltare la promozione all’ultimo momento, la donna “catechizza” le due figlie, Sana e Rezvan, affinché  tengano un comportamento irreprensibile.

Ma l’Iran ribolle. Le università della capitale sono attraversate da proteste e movimenti studenteschi; nelle scuole e per le strade spira il vento della ribellione. Le due ragazze, nonostante figlie di un funzionario del regime, non possono né vogliono fingere che niente stia accadendo. E la quieta della famiglia “normale” viene meno.

“The seed of the sacred fig” è capace di stupire, cambiando pelle più volte, e passando dal racconto sociale, al focus sul personaggio di Iman, a una sorta di “Shining” in chiave iraniana e ambientazione desertica.

Lo spettatore si ritrova a palpitare per questo mix narrativo ed emotivo magistralmente scritto, girato e interpretato. Il cast dimostra valore e carisma, creando le condizioni per un finale tragico quanto liberatorio.

Se la storia insegna qualcosa, è che tutti i regimi sono prima o poi destinati a cadere. Noi non possiamo che augurarci che questo succeda il prima possibile, in Iran. Intanto dalla Croisette è venuta un’importante spallata in questo senso. Probabilmente a forma di Palma d’oro.

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