Un film di Alberto Rizzi. Con Alessandro Roja, Alessandra Mastronardi, Neri Marcorè, Francesco Pannofino, Ugo Pagliai. Commedia. Italia 2020
Dopo il terremoto che gli ha portato via il fratello e la cognata, Orlando ha smarrito ogni direzione. Rintanato in una baracca su Po, lui che era stato il frontman della band Cuore aperto non suona più, e non riesce a tenersi un lavoro. I suoi genitori non sanno come scuoterlo dall’impasse, anche perché Orlando ha la responsabilità di Angelica, la nipotina undicenne rimasta orfana. Ma lui continua a vivere di ricordi, su tutti quello di Chiara, la donna della sua vita ora in procinto di sposarsi con un altro. A dare una scossa, questa volta positiva, alla sua vita sarà Giusi Granaglia, la ex manager musicale che lo spingerà a rimettere insieme i Cuore aperto.
Si può avere una seconda chance, quando si tratta dell’amore della propria vita, oppure questo succede solo al cinema e nei sogni? Una band di over40 può tornare a suonare senza apparire ridicoli? E a un evento tragico come un terremoto, con i lutti che porta con sé, si può sopravvivere?
L’esordiente Alberto Rizzi, insieme allo sceneggiatore Marco Pettenello, ha cercato di rispondere a queste domande con “Si muore solo da vivi”, una storia genuina e apprezzabile quanto piuttosto semplicistica e prevedibile nello sviluppo.
L’impianto drammaturgico del film, nel complesso, è debole e monocorde, e soprattutto privo di qualsiasi approfondimento psicologico e esistenziale dei personaggi; una favola moderna in cui romanticismo e malinconia sono tenuti forzosamente insieme nella speranza – vana – di trasmettere qualche emozione allo spettatore.
Lo spettatore segue le vicende sentimentali e umane di Orlando, ma fatica a individuare un senso o un messaggio di un fondo in una storia che non decolla mai.
La scommessa autoriale degli sceneggiatori risulta riuscita solo in minima parte, ed è merito del cast valido ed esperto, che comunque in questo caso non si supera. L’inedita coppia formata da Alessandro Roia e Alessandra Mastronardi, per quanto tenera e simpatica, non buca lo schermo. Caso mai sono i cameo di Ugo Pagliai e Amanda Lear a regalare qualche guizzo.
Pur avendo un solido background teatrale, Rizzi firma una regia di taglio televisivo, facendo scorrere i minuti senza lasciare alcun segno della propria creatività e visione cinematografica. Sicuramente avrà una seconda chance per farsi valere, in futuro, e noi ci auguriamo che la sfrutti meglio, con meno buonismo.
Perché “Si muore solo da vivi” è un film gentile, orgoglioso nel raccontato i luoghi martoriati dal terremoto del 2012. Ma lo fa in modo troppo impalpabile, senza lasciare alcun segno in chi guarda.
Il biglietto da acquistare per “Si muore solo da vivi”:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.