“Se la strada potesse parlare”: la bellezza delle immagini contro le brutture del mondo

Il nuovo film di Barry Jenkins, regista di "Moonlight", è un dramma ambientato negli anni '70 che punta sui silenzi e l'emotività

di Concetta Piro

 

Un film di Barry Jenkins. Con KiKi Layne, Stephan James, Regina King, Teyonah Parris, Colman Domingo. Drammatico, 119’. USA 2018

Negli anni Settanta, nel quartiere di Harlem, la diciannovenne Tish aspetta un bambino dall’amore della sua vita, il fidanzato Fonny. Ma dovrà dirglielo attraverso un vetro, perché Fonny è stato incarcerato per un crimine che non ha commesso. C’è un poliziotto bianco di mezzo e far vincere la verità appare un’impresa sempre più difficile e costosa. Ma Tish non si arrende e la sua famiglia è con lei.

 

Barry Jenkins – regista di “Moonlight”, miglior film agli Oscar del 2017 – torna alla Festa del cinema di Roma con il dramma “Se la strada potesse parlare” (If Beale Street Could Talk), con protagonist KiKi Layne e Stephan James.

È chiaro fin da subito che a farla da padrone nella pellicola sono le inquadrature e la fotografia, colori caldi e marcati e l’uso privilegiato del silenzio, strumento per provare a dar voce alle emozioni senza bisogno di parole.

Con la volontà di dare a tutti i costi al film un tono poetico – non necessario – il regista sembra perdere di vista l’obiettivo primario, creando un racconto frammentario e non lineare in cui le scene si ripetono o finiscono per somigliarsi un po’ tutte. Invece di emozionare il pubblico, di condurlo nella profondità dei sentimenti, si genera insofferenza dopo una mezz’ora scarsa.

Certo la visione della famiglia, per quanto anticonvenzionale, che emerge dal racconto colpisce: un nucleo di persone che si sostengono l’un l’altro, nonostante tutto, pronte ad accogliere una nuova vita come un dono.

Se netto e deciso è il suo punto di vista sulla famiglia, non lo è meno quello sul “sistema americano” che sconvolge le vite di Tish e Fonny, alterandone il normale svolgimento. Jenkins si schiera senza mezzi termini a favore dei diritti umani, con concetti lapidari e frasi ben definite, pur essendo chiaro che non ci sia in lui l’intento di voler creare nessuna polemica ma solo la voglia di ribadire un concetto a lui piuttosto caro.

“Se la strada potesse parlare”, insomma, è un film che non manca di personalità ma risente di un metodo di racconto davvero troppo ridondante. La storia non è scorrevole e la sensazione è quella di assistere a una manifestazione d’amore così profonda da non essere rappresentabile. E la “frustrazione” del regista traspare in tutte quelle scene in cui sembra voler dire molto e invece finisce per dire troppo poco.

 

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