Un film di Mario Martone. Con Toni Servillo, Maria Nazionale, Cristiana Dell’Anna, Antonia Truppo, Eduardo Scarpetta. Drammatico, 133′. Italia 2021
Agli inizi del Novecento, nella Napoli della Belle Époque, splendono i teatri e il cinematografo. Il grande attore comico Eduardo Scarpetta è il re del botteghino. Di umili origini, si è affermato grazie alle sue commedie e alla maschera di Felice Sciosciammocca. Il teatro è la sua vita e attorno a questo gravita anche tutta la sua singolare famiglia, composta da mogli, compagne, amanti, figli legittimi e illegittimi, tra cui Titina, Eduardo e Peppino De Filippo. Nel 1904, al culmine del successo, Scarpetta si concede un pericoloso azzardo: realizza la parodia de La figlia di Iorio, tragedia del più grande poeta italiano del tempo, Gabriele D’Annunzio. La sera del debutto in teatro si scatena un putiferio: la commedia viene interrotta tra urla e fischi e Scarpetta finisce con l’essere denunciato per plagio dallo stesso D’Annunzio. Inizia così la prima storica causa sul diritto d’autore in Italia.
Mario Martone, uomo di cinema e di teatro, sembra averci preso gusto e dopo la convincente versione di “Il sindaco del rione Sanità” (2019) ha deciso di rinnovare la sua ambiziosa sfida creativa e narrativa, raccontando una delle famiglie più affollate e disfunzionali che ha calcato le scene in Italia, quella capeggiata dal comico Eduardo Scarpetta (padre di Eduardo De Filippo, tra gli altri).
Non era semplice raccontare un personaggio così grande e complesso evitando cadute di stile o derive diversamente “gossippare” e mettendone invece in luce la sfera più intima e personale. E personalmente ero piuttosto scettico sulla riuscita dell’operazione.
Adattare un testo teatrale per il cinema non è mai facile. Ma far appassionare il pubblico al “dietro le quinte”, alle controverse dinamiche emotive e psicologiche dei componenti di una famiglia allargata ante litteram, nella Napoli del primo Novecento, sembrava semplicemente impossibile.
Va invece dato merito a Mario Martone di aver costruito un intreccio nel complesso equilibrato, vivace, intenso, alternando momenti di puro teatro ad altri di vita vissuta. Il pubblico resta spiazzato davanti alla naturalezza con cui Scarpetta sapeva destreggiarsi tra le sue tre donne e i numerosi figli, legittimi e non, facendoli convivere in modo sereno, per quanto bizzarro, all’interno della compagnia teatrale.
Questioni di paternità, insomma, ma non solo biologiche, anche artistiche. Il film è anche il racconto della prima storica causa sul diritto d’autore nel nostro Paese. Scarpetta dovrà infatti difendersi in tribunale dall’accusa di plagio mossagli da Gabriele D’Annunzio, di cui aveva deciso di parodiare un testo.
Se Toni Servillo è formalmente il dominus, cuore e anima del progetto, a mio modesto parere il suo personaggio diventa il mezzo per raccontare poi un’altra grande “famiglia” teatrale, quella dei fratelli De Filippo. Titina, Eduardo e Peppino sono i veri protagonisti della storia, e i giovanissimi Marzia Onorato, Alessandro Manna e Salvatore Battista rubano la scena ai colleghi più esperti, con personalità e talento.
“Qui rido io” è anche un racconto al femminile, sebbene Rosa, Anna e Luisa siano, sulla carta, soltanto le donne di Scarpetta e le madri dei suoi figli. Ognuna di loro ha un ruolo, un compito, e segue un copione ben stabilito. Maria Nazionale si impone nel ruolo di Rosa, moglie “ufficiale” del comico, ma è soprattutto Cristiana Dell’Anna in quello di Luisa, a brillare.
Un film elegante, rumoroso, ironico, colorato, malinconico, quello di Martone, che anche lo spettatore poco appassionato di storia del teatro non potrà non gradire.