di Alessandra Pappalardo
Un film di Michael Noer. Con Charlie Hunnam, Rami Malek, Tommy Flanagan, Eve Hewson, Roland Møller. Biografico, 133′. Serbia, Montenegro, Malta 2017
Parigi, 1931. Accusato ingiustamente di un crimine mai commesso, Henri Charrière è condannato all’ergastolo e spedito in un campo di lavoro della Guyana francese. Nel viaggio che lo conduce a quella che con ogni probabilità sarà la sua ultima destinazione, incontra Luis Dega, un falsario brillante che ‘nasconde’ una piccola fortuna. Soprattutto per chi come Papillon, come lo chiamano tutti a causa di un tatuaggio e della vocazione a rubare, ha deciso di evadere. Ma Papillon non è l’unico a mirare al tesoro. Delicato e alieno al mondo criminale, Dega gli chiede aiuto e protezione in cambio del denaro per corrompere i secondini e favorire la fuga.
Ispirato a fatti realmente accaduti, per quanto romanzati, “Papillon” di Michael Noer è una storia di amicizia, di lealtà e redenzione, un inno alla libertà.
Henri Charrière (Hunnam) vive di furti ed espedienti nella Parigi degli anni ‘30, ma viene ingiustamente accusato di omicidio e condannato a scontare l’ergastolo in un campo di lavoro nella Guyana francese.
Durante la prigionia, incontra Luis Dega (Malek), un falsario benestante che utilizza il denaro rimasto in suo possesso per garantirsi un trattamento di riguardo da parte delle guardie carcerarie.
I due stringono un patto: Henri offrirà protezione a Luis e, in cambio, potrà utilizzare parte delle sostanza dell’altro per progettare una fuga.
L’incredibile storia di Henri Charrière, condannato ai lavori forzati, evaso più volte, promosso imprenditore in Venezuela, venne pubblicata sotto forma di autobiografia nell’estate del 1969, e divenne un best-seller in Francia. Questo viaggio immobile attirò l’attenzione di Hollywood – e nel 1973 uscì il film con Steve McQueen e Dustin Hoffman.
È con questa eredità che deve fare i conti Michael Noer, riportando sullo schermo, in una versione aggiornata ma non troppo, le avventure e disavventure di un innocente rinchiuso e per tre volte evaso.
Il regista, supportato da un cast convincente e da un buon lavoro di fotografia e montaggio, riesce a trovare il giusto equilibrio narrativo tra la denuncia delle condizioni disumane in cui vivono i prigionieri e gli aspetti più intimisti, legati alla parabola di un uomo più forte del destino. Sono soprattutto questi ultimi e il tema dell’amicizia che spingono la storia oltre l’ostacolo, e i luoghi comuni del genere, dando spessore alla trama.