di Riccardo Carosella
Un film di Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo. Con Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Max Tortora, Luca Zingaretti. Drammatico, 96′. Italia 2018
Mirko e Manolo sono due giovani amici della periferia romana. Guidando a tarda notte, investono un uomo e decidono di scappare. La tragedia si trasforma in un apparente colpo di fortuna: l’uomo che hanno ucciso è il pentito di un clan criminale di zona e facendolo fuori i due ragazzi si sono guadagnati la possibilità di entrare a farne parte. La loro vita è davvero sul punto di cambiare.
Segnatevi questi due nomi: Fabio e Damiano D’Innocenzo. Ne sentiremo parlare molto in futuro, garantito. “La terra dell’abbastanza”, loro esordio alla regia, è un film di rara profondità umana e di grande spessore artistico. Un’opera che dimostra un forte sentimento sociale e anche una sorta d’inquietudine personale nella rappresentazione drammatica ma al contempo veritiera della periferia romana.
Manolo (Carpenzano) e Mirko (Olivetti) sono due giovani apparentemente “normali”, che potrebbero avere obiettivi e sogni. Il problema è che sono proprio i sogni a mancare in questa storia. I ragazzi sono schiacciati dal contesto sociale e familiare in cui vivono, che favoriscono l’assopimento dell’animo e l’indifferenza emotiva verso il mondo.
Manolo vive col padre, insoddisfatto e senza scrupoli nell’indirizzare il figlio verso strade a buon potenziale di guadagno ma di sicuro insuccesso umano. Mirko, invece, vive con la sorellina, a cui vuole un gran bene, e la madre, troppo debole e devastata dalla vita per riuscire a tenere testa a un figlio turbolento e incazzato.
Non sono due cattivi ragazzi, i protagonisti, ma è la vita disagiata e sterile che conducono a spingerli, sembrerebbe in modo quasi inevitabile, verso strade sbagliate e scelte rischiose.
“La terra dell’abbastanza” si distingue da “Suburra”, “Il contagio” e tanti altri film che cercano di raccontare la situazione precaria e drammatica delle nostre periferie per l’intensità e la veridicità della rappresentazione del contesto sociale e dei personaggi.
Qui non ci sono pseudo gangster muscolosi e tatuati che imbracciano le armi e fanno strage dei nemici, conducendo vite da nababbi. Qui ci sono solo due giovani, senza sogni e senza futuro, che non conoscono né libidine né ricchezza e abbracciano questa vita perché non ne vedono altre.
In ultima analisi Manolo e Mirko non sono carnefici ma vittime. Vittime della realtà in cui vivono e del destino avverso contro il quale hanno già perso in partenza la loro battaglia.
Un film da vedere e da comprendere a fondo, per cercare di inquadrare una realtà vicinissima a noi che troppo spesso tendiamo a ignorare. Invece esiste, ed è disarmante!