“L’amour debout”: quando il cinema diventa specchio – opaco – della vita

Il film di Michaël Dacheux è insulso, pasticciato, caotico, davvero difficile da vedere fino alla fine

Un film di Michaël Dacheux. Con Paul Delbreil, Adèle Csech, Samuel Fasse, Jean-Christophe Marti, Thibaut Destouches. Drammatico, 83′. Francia 2018

Léa fa la guida a Parigi e accompagna i turisti tra Villette, Montmartre, Batignolles. Martin è di Tolosa e sogna di fare cinema. Hanno 25 anni, si sono appena lasciati, lui vuole riconquistarla e vaga tra tristezza e dubbi sulla sua identità sessuale; lei lavora tanto, poi si lascia scivolare in una vaga storia con un musicista più grande. Commedia agrodolce sulla vita e l’amore, sulla città di Eustache (citato anche con la presenza di Françoise Lebrun). Malinconia che addolcisce i traumi.

 

Se avete letto in passato almeno un paio delle mie recensioni saprete che cerco sempre di scrivere giudizi produttivi, di non stroncare mai un film senza argomentare, perché dietro a qualsiasi progetto – per quanto brutto – c’è un lavoro, portato avanti con passione (si spera).

Ecco, restare fedele al mio canonico modus operandi con “L’amour debout” di Michaël Dacheux, presentato al Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile, è quanto mai complicato.

Il film è insulso, pasticciato, caotico, dispersivo sotto ogni aspetto. Lo spettatore, anche quello più volenteroso e ben disposto, è costretto ad arrendersi ben presto di fronte a un intreccio inverosimile, risibile e in alcuni passaggi persino sconclusionato e irritante .

“L’amour debout” non è collocabile in un genere, non possiede una precisa identità narrativa né tanto meno un messaggio particolare da comunicare allo spettatore. È solo noioso, lento ed esasperante.

Impossibile, per chi guarda, comprendere le scelte dei protagonisti e ciò che accade loro sul piano sentimentale e sessuale. Alla fine, sono solo 83′ sofferenza estetica, narrativa e recitativa.

 

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