La ricordiamo al cinema nel ruolo di Madame Baldini, moglie di Dustin Hoffman nel film “Profumo – Storia di un assassino” diretto da Tom Tykwer, a teatro in “Sister Act” in cui è la coprotagonista rivestendo il ruolo della Madre Superiora, in televisione nella fiction Rai “Madre, Aiutami!” con Virna Lisi. Stiamo parlando di Dora Romano, attrice poliedrica che si divide tra teatro, cinema e televisione.
Alla Mostra del cinema di Venezia presenta due progetti molto attesi dal pubblico e dalla critica. Nel film sul caso Stefano Cucchi, “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini, presentato nella sezione Orizzonti, ricopre il ruolo di uno dei medici che ha tenuto in osservazione Cucchi durante la degenza all’ospedale Pertini di Roma, nella sua ultima settimana di vita, ed è stato poi processato e condannato.
Nella serie tv “L’amica geniale”, diretta da Saverio Costanzo, invece, Dora Romano interpreta la maestra Oliviero che scoprirà il potenziale di Lila, a dispetto della sua condizione sociale, e farà di tutto per cercare di far uscire lei e l’amichetta Lenù dalla povertà e spingerle verso lo studio.
Il suo è un personaggio intenso, pieno di umanità e senso di riscatto, inseriti nella drammatica dimensione della distruzione post-bellica a Napoli. Una donna coraggiosa e volitiva, quasi un personaggio d’avanguardia per quel tempo, pur con tutti i retaggi negativi dell’epoca fascista durante la quale si è formata la sua personalità.
Abbiamo incontrato Dora Romano per parlare con lei del suo personaggio nella serie “L’amica geniale”, del caso Elena Ferrante ma anche della scuola moderna e del ruolo degli insegnanti, ieri e oggi.
La prima domanda nasce spontanea: ha letto il romanzo di Elena Ferrante (“L’amica geniale”, ndr)? Quale è stato il primo pensiero quando ha saputo che ne avrebbero fatto un adattamento per la tv?
Ho letto il romanzo, certo, e mi è già capitato di fare un film tratto da un romanzo (“Profumo” di Patrick Suskind). È decisamente un’operazione molto coraggiosa poiché è come sfidare l’immaginazione di ogni singolo lettore, dal momento che a ognuno la parola scritta evoca immagini del tutto personali. Ma io credo che per le grandi opere letterarie, come per quelle teatrali, ci sia sempre un messaggio centrale, un perno intorno al quale tutto ruota e questo ha valenza universale. Penso che una trasposizione cinematografica si basi proprio su questo e da lì sgorghi il tutto: arte, interpretazione, messaggio sociale, emozionalità e quant’altro.
Il suo personaggio, la maestra Oliviero, è molto importante per la storia: è lei che comprende per prima il talento di Lila e Lenuccia e in qualche modo le spinge a coltivare la loro bravura. Come ha lavorato su questo personaggio? E com’è stato interagire con le quattro giovanissime protagoniste?
Come sempre, comincio a lavorare sulla memoria emotiva che mi conduce alla parte legata al corpo, alle movenze, alla postura e ai gesti del personaggio. Psicologicamente l’ho creato mettendo insieme i ricordi, ancora vivissimi, di tre delle mie insegnanti: la maestra elementare, la professoressa delle scuole medie e quella del ginnasio. Erano tutte autoritarie, severe… troppo severe, secondo me, e quindi ho mitigato le loro forti personalità con ciò che io, se fossi stata un’insegnante, avrei voluto vedere in loro – dolcezza, intuizione, ascolto delle differenze e tanta passione nel trasmettere il sapere. Erano altri, lontanissimi tempi e loro facevano del loro meglio. Per quanto riguarda il rapporto con le bambine sul set le dico solo questo: tutte mi vivevano come una vera maestra e quindi mi chiedevano il permesso di andare in bagno, o di farmi una domanda, o quando sarebbe finita la scena o che avevano fame o che erano stanche… so’ soddisfazioni! Con le due piccole protagoniste, ovviamente, il rapporto era un po’ più intimo, ma sono stata sempre a mio agio con loro, come se fossero delle colleghe navigate. Infatti sono bravissime piccole attrici. Con le adolescenti è stato ugualmente facile, ma a volte mi sono permessa di dar loro piccoli consigli da attrice.
La maestra Oliviero rappresenta un mondo che ormai non esiste più, in cui le insegnanti avevano un ruolo cardine nella vita degli alunni. Cosa pensa della scuola moderna? E dei continui cambiamenti al mondo dell’educazione e della cultura?
Da quello che vedo, e tenendo ben presente che non ho figli, l’educazione, e di conseguenza i metodi di insegnamento, hanno dovuto compiere dei salti giganteschi in molteplici direzioni. Questa molteplicità ha provocato confusione, insicurezza e molto stress nel corpo insegnante, che ha dovuto usare molte delle proprie energie per imparare in prima persona nuove tecnologie, nuovi moduli di comunicazione, mentre i giovani studenti sembravano avere in sé, dalla nascita, la padronanza di tutto questo e una consapevolezza di sé molto maggiore rispetto al passato. Non era facile, ai miei tempi, insegnare, e non lo è neanche oggigiorno, ma non si può accusare nessuno per questo.
Guardando le prime due puntate della serie salta all’occhio il grande lavoro fatto sulle ambientazioni e sulla ricostruzione del quartiere in cui i personaggi si muovono. Come avete lavorato per rendere vivo lo spazio che occupavate? E i luoghi sono stati interamente costruiti?
La strabiliante ricostruzione del rione e delle case, della scuola, della biblioteca è frutto di un lavoro certosino delle maestranze, di tutti i reparti, e che dire poi dei costumi: la perfezione regna su questo set. Saverio Costanzo ha avuto l’abilità di creare la totale armonia in tutto questo apparato gigantesco, perché lui ha un cuore gigantesco. Di fronte a tanti sforzi, ogni difficoltà, stanchezza o disagio si affievoliscono fino a sparire…
Cosa direbbe a un fan della Ferrante, scettico nel guardare la serie perché spaventato dalla possibilità di essere deluso?
Gli direi di lasciarsi andare a tutte le possibilità. Lo spettacolo è divertimento, in tutti i sensi. Noi, che ci lavoriamo dentro, non abbiamo armi di nessun genere: da noi non c’è nulla da temere!
Grazie mille e in bocca al lupo.