Intervista all’attore Michele Riondino

Per la rubrica “Dietro il sipario”, dedicata ad approfondimenti su volti noti e meno noti del mondo del cinema e dello spettacolo di casa nostra, oggi è con noi l’attore Michele Riondino.

Formatosi all’Accademia d’Arte Drammatica «Silvio D’Amico» di Roma, dopo gli esordi teatrali debutta in tv nella serie “Distretto di Polizia”, dove è presente per tre stagioni, dal 2003 al 2005. Sul piccolo schermo recita anche nella “Freccia nera” di Fabrizio Costa (2006) e dal 2012 nella fiction Rai “Il giovane Montalbano”.

Al cinema lo ricordiamo in “Il passato è una terra straniera” di Daniele Vicari (2008) e in “Dieci inverni” di Valerio Mieli (2009). Nel film “La ragazza del mondo” (leggi la recensione), opera d’esordio di Marco Danieli, presentato all’ultimo Festival di Venezia e in uscita questa settimana al cinema, interpreta Libero.

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Benvenuto a Michele Riondino e grazie per aver accettato il nostro invito.

La prima domanda nasce spontanea. Sei un attore poliedrico – teatro, cinema, televisione – ma qual è il tuo primo amore, artisticamente parlando?

La musica; tra tutti i campi che hai citato mancava la musica. Il mio primo amore è stata la passione per la musica, che mi ha portato poi ad affrontare tutti gli altri aspetti artistici. Come attore nasco a teatro, nasco sulle tavole di un palcoscenico: quella per me è stata la palestra naturale con cui, ancora oggi, continuo a misurarmi. Tutto quello che è venuto dopo la scuola, dopo i primi spettacoli, ritengo sia il frutto di una dedizione alla materia della recitazione. Personalmente non amo nemmeno distinguere troppo tra i generi e gli ambiti, perché ciò che ci contraddistingue, come attori, è la possibilità di sviluppare ragionamenti attorno all’umanità, ragionamenti attorno alle psicologie. È un lavoro di antropologia, il nostro! Io sono legato all’aspetto umano di ogni personaggio e a ogni aspetto dell’arte.

Ma tirando le somme, il teatro è l’ambito a cui, potendo sceglierne solo uno, ti dedicheresti?

È vero che a teatro mi sento a mio agio e so come muovermi, ma non ho mai pensato di dedicarmi solo a questo. Il teatro è una seconda casa; stare davanti alla macchina da presa è invece ancora uno studio, una scoperta continua. Mi sento una spugna, all’interno di una troupe e su un set cinematografico. Mi piace osservare, capire le dinamiche.

Michele Riondino e Sara Serraiocco in una scena del film “La ragazza del mondo” (2016).

Parliamo del film “La ragazza del mondo”, uscito al cinema questa settimana, una storia d’amore sorprendente, di forte impatto. Può anche essere visto come un inno al femminismo 3.0, con il desiderio di libertà della protagonista, interpretata da Sara Serraiocco, che sembra dire “sì, le donne possono farcela, possono dire la loro”? Tu come la vedi, da un punto di vista maschile?

È un’interpretazione che può starci, la tua. L’evoluzione del personaggio di Giulia, interpretata da Sara Serraiocco, è inversamente proporzionale alla scoperta che il personaggio maschile, Libero, fa di sé. Giulia è una ragazza che passa dall’adolescenza alla giovinezza. Attraverso un amore impossibile scopre la libertà, la possibilità che non ha mai sfruttato di conoscere se stessa e il mondo che la circonda. Attraverso quest’amore scopre la possibilità di emanciparsi. È il tentativo che fa anche Libero: cerca di emanciparsi da uno stereotipo, dall’immagine che tutti hanno del ragazzo di borgata, violento, piccolo spacciatore. Vorrebbe trasformarsi, trovare la strada che dalla periferia porta al centro, dalla borgata alla borghesia. Ecco, in questo tentativo di trasformazione il personaggio di Sara è un personaggio che scopre se stesso e afferma con forza il potere delle donne.

Com’è stato lavorare con Sara Serraiocco?

Bello, così come con il regista Marco Danieli. Abbiamo provato tantissimo. Io stesso ho scoperto un nuovo modo di lavorare.

A un certo punto della storia Giulia accetta, per amore, di indossare di nuovo i panni del Testimone di Geova, non per fini religiosi, ma per spacciare droga. Una scelta narrativa molto forte, che ha fatto discutere. Tu come pensi che la comunità dei Testimoni l’abbia accolta?

È stata una scelta molto forte, sì, ma se io fossi un Testimone di Geova risponderei così. Nel momento in cui Giulia sceglie di assecondare Libero, di spacciare, lei è già fuori dalla dottrina geovista, lei ha già fatto delle scelte. Secondo la dottrina geovista già aver baciato, aver avuto a che fare con un ragazzo che non è nella verità, quindi un ragazzo del mondo, la pone fuori dalla comunità.

Michele Riondino nella fiction Rai “Il giovane Montalbano”.

Hai presentato il film, uscito ieri nelle sale italiane, all’ultimo Festival di Venezia. Che valore dai, tu, alla Biennale?

Per me Venezia è l’occasione di incontrare amici e colleghi e parlare di quello che amiamo fare; è l’occasione per promuovere i nostri lavori, ma anche motivo di festa e di incontro. Lo è sempre stato. È nel carattere storico del Festival di Venezia, questo elemento giocoso. I più grandi si incontravano qui, basti pensare alle foto di grandissimi seduti sui gradini dell’Excelsior.

Prima di chiudere: nella tua carriera hai interpretato per lo più personaggi complessi, per molti versi drammatici. Ti piacerebbe, per una volta, un personaggio più leggero, da commedia?

Il motivo per cui scelgo un ruolo, una sceneggiatura, sta nella storia che si racconta, nel modo in cui la si vuole raccontare. Non avrei nessuna forma di imbarazzo a mettermi alla prova in un ruolo leggero. Mi piace l’idea di far ridere, ma raccontando qualcosa. Per me tutto dipende dalla serietà con cui si decide di intraprendere un percorso, indipendentemente dal genere.

Grazie a Michele Riondino per essere stato con noi.





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