Vedere quanta strada un film di animazione, per di più italiano, ha fatto nei festival di tutto il mondo ha destato lo scorso anno un grande stupore. “Gatta Cenerentola”, versione rinnovata della famosa favola, ha superato le aspettative di tutti, anche dei quattro registi, Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone.
Dell’apprezzamento del pubblico straniero, nonostante la forte connotazione italiana del film, ha parlato Alessandro Rak a Londra, in occasione dell’ultima edizione del Festival Cinema made in Italy.
Ed è qui che abbiamo incontrato il regista, per parlare di questo piccolo, grande gioiello della cinematografia italiana, del grande lavoro dei disegnatori, dello sviluppo del progetto.
Grazie per essere qui con noi, Alessandro. Intanto congratulazioni per il grande successo che “Gatta Cenerentola” ha ottenuto, sia in Italia che all’estero. Come ci si sente a presentare un film fortemente italiano fuori dai confini nazionali? C’è il timore che il pubblico non lo comprenda o apprezzi fino in fondo?
Quando realizziamo le nostre storie, molto legate al territorio di Napoli, lo facciamo anche con la curiosità di vedere che effetto avranno su spettatori diversi, con culture diverse. I nostri film partono dal territorio, elemento che conosciamo bene, ma non vengono girati con l’idea di rimanervi relegati. Con “Gatta Cenerentola” abbiamo provato a riportare a casa una favola che fu messa per la prima volta per iscritto nella città di Napoli ma che poi è stata esportata in tutto il mondo, declinandola in questa maniera particolare per vedere le reazioni del pubblico. Insomma, più che timore c’è la curiosità di capire cosa arriva al pubblico straniero di questo film.
Guardando i vostri lavori è impossibile non essere colpiti dalla presenza di Napoli. Perché avete scelto di rappresentare la vostra città attraverso l’animazione? Scelta quasi obbligata?
L’abbiamo fatto due volte, ma non deve diventare un obbligo. Napoli è una città che ci ha dato tanto – anche, a dispetto di quanto si possa pensare, la possibilità di operare in un ambito che ci appassiona, quello dell’animazione – e abbiamo quindi voluto omaggiarla. Napoli è una città ricca – ricca di spunti, di storia, di tradizioni, di folklore. Anche quando si parla dell’Italia dall’esterno capita di alludere a degli aspetti che sono tipici della napoletaneità, come la canzone “O Sole Mio”, la pizza, gli spaghetti, il caffè. Napoli è una sorta di capitale di questi aspetti pittoreschi dell’Italia all’estero, così come anche di aspetti negativi, come la presenza della camorra, della mafia, della ‘ndrangheta, di un’idea di criminalità associata al Sud.
Lavorare a Napoli, raccontare Napoli vi ha messo in una posizione di forza? Vi siete sentiti a casa e avete potuto operare con maggiore tranquillità?
Operare nella città di Napoli, dedicare i film alla città di Napoli ambientandoli nella città di Napoli, discutendo e assorbendo il tessuto napoletano anche creativo e artistico all’interno dei film ci ha dato la sensazione di sapere cosa stavamo facendo. Sentivamo di essere in relazione con il luogo in cui abitiamo, e quindi di poterlo elaborare, di poterci elucubrare sopra. Però allo stesso tempo abbiamo sentito che il luogo poteva rispondere a questa nostra elucubrazione e partecipare, contribuendo, facendoci scoprire cose nuove sulla città in cui viviamo. C’è quindi una continuità di cui si nutrono tutte le parti del discorso, e l’idea che il cinema possa nutrirsi di più del luogo, e non puntare sempre e solo all’universalità e alla globalità, è interessante.
Agli ultimi David di Donatello si è parlato di Napoli come nuova capitale del cinema italiano ed europeo. A cosa si deve, secondo te, questa rinascita e qual è stata la reazione del pubblico napoletano a “Gatta Cenerentola”?
La Campania si nutre molto delle proprie produzioni cinematografiche. Questo elemento è interessante ed è forse anche uno dei motivi di spostamento dell’attenzione cinematografica sulla regione. Noi, con i numeri dei nostri spettatori solo all’interno della Campania, potremmo già sostenere da soli i progetti che stiamo sviluppando o che abbiamo in mente di sviluppare. In una terra così attenta alle proprie tradizioni e al proprio folklore, si instaura un rapporto per cui la gente va al cinema perché c’è qualcosa che la riguarda da vicino, qualcosa che la interessa.
La rinascita di Napoli è anche un tema portante di “Gatta Cenerentola”. Com’è stato realizzare questo progetto di animazione, che tocca anche tematiche delicate?
Diciamo che la difficoltà di fare animazione nella città di Napoli è legata al fatto che, se intorno non hai persone che ci credono, che si nutrono o sono abituate a quello che a te piace, rischi di perdere grinta e vitalità, di perdere un po’ di speranza. Invece, se sei in un luogo in cui anche gli altri condividono la tua passione e si sono formati con la stessa cultura tutto diventa meno improbabile. A Napoli l’animazione non esisteva; se dicevi di fare l’animatore pensavano tu lavorassi nei villaggi turistici. Questa è stata la difficoltà. Toccando argomenti delicati abbiamo però attirato l’attenzione del pubblico, non tanto sulla tecnica, che risulta ancora un po’ aliena, quanto sul contenuto. Abbiamo creato interesse, e ha funzionato.
Nessuno andando a vedere “Cenerentola” si aspettava di trovare certi temi. Penso ad esempio all’antitesi tra l’armatore, Vittorio Basile, che vuole aiutare Napoli a rinascere, e il Re, Salvatore Lo Giusto, che invece la ostacola. Un’antitesi che ricalca il dramma di una città da “vorrei ma non posso”?
In questo senso il nostro sforzo è stato quello di costruire una congiunzione tra la storia del film e il nostro progetto. Per esempio, Basile si propone come una persona che porta un progetto che sembra assolutamente lontano dalle corde della città, mentre Salvatore Lo Giusto sottolinea di questo progetto gli aspetti negativi. L’animazione non era di certo nelle corde di Napoli e non era un genere per adulti in Italia, ma noi abbiamo cercato, attraverso i contenuti, di motivare di più la scelta dell’animazione e di avvicinare anche i nostri cari a questo modo di raccontare, portando qualcosa di nuovo senza dimenticarsi di stare vicini agli argomenti e le istanze che interessano alla nostra gente.
Ampliando il discorso, l’animazione italiana è spesso considerata il fanalino di coda europeo, ma “Gatta Cenerentola” è il primo film d’animazione a essere candidato come miglior film ai David di Donatello. Cos’ha significato per voi raggiungere questo traguardo, e cosa deve ancora fare l’animazione italiana per vincere la competizione con altre soggetti, come lo studio Ghibli o la Disney?
Vincere la competizione con lo studio Ghibli o la Disney mi sembra ancora un discorso un po’ impari e molto ambizioso. Nel senso che una cosa è confrontarsi con altre realtà europee o americane, ma anche cinesi o giapponesi, e un’altra cosa è andare a competere con quelli che sono considerati dei colossi. Lo studio Ghibli e la Disney sono colossi anche in via di un sistema che va dalla distribuzione fino ad aspetti più artistici, nel senso che ci sono delle scuole alle spalle di queste realtà. Ciò che conta, per ora, è poter dire che ogni progetto, se racconta una storia diversa o in modo diverso, ha lo stesso diritto di essere guardato, di emergere. Per noi la visibilità, i premi hanno importanza nella misura in cui ci consentono di continuare a portare avanti il nostro lavoro ma soprattutto di avere il maggior riscontro possibile su quello che facciamo. Rispetto al discorso dell’animazione in Italia, alcuni casi, come quello della Rainbow, hanno dimostrato che imporsi a livello globale è possibile, magari puntando su prodotti commerciali. Io, però, preferisco credere in un progetto e solo dopo guardare al lato commerciale della cosa.
Però “Gatta Cenerentola” ha avuto il suo successo…
E ne siamo felici, però il progetto non è stato realizzato con questo intento primario. Noi volevamo inserire all’interno del film aspetti che ci premevano veramente, non aspetti commerciali, e trovare un pubblico che desse un senso a quello che stavamo facendo. Poi uno spera sempre che l’interesse si allarghi.
Tra i tanti temi affrontati nella storia c’è quello della memoria, che torna con insistenza, e viene sviluppato attraverso gli ologrammi. Da dove nasce l’interesse per l’argomento?
L’idea degli ologrammi è nata per dare un senso un po’ più amletico a questa Cenerentola, Si tratta di un artificio teatrale e letterario che è già stato usato più volte e che ha una sua archetipica capacità di fare effetto, probabilmente perché sovrappone l’idea di un retaggio del passato alla progettualità del presente, creando una contesa tra il passato e il presente rispetto al divenire. In qualche maniera è un’operazione che avviene in un ogni istante, dentro e fuori da noi, cioè l’idea che può venire nel nostro presente viene messa in relazione con le conoscenze che si hanno o con il substrato di cose che si sono accumulate nel passato per poi trovare una soluzione che va verso il futuro… Insomma, è una messa in scena di un aspetto che appartiene alla società, alla politica, a qualsiasi realtà. Per noi, inoltre, rappresentava la possibilità di mettere in sovrapposizione due progettualità diverse: una del malaffare, magari più calzante e attuale, e l’altra molto avveniristica.
Prima di salutarci, la MAD entertainment è già al lavoro su nuovi progetti? Cosa possiamo aspettarci in futuro?
La MAD si occupa anche di cinema, non solo d’animazione. Al momento sta producendo un nuovo lavoro di Capuano, un regista napoletano. C’è anche un nuovo progetto d’animazione a cui stiamo lavorando, ma non ne parliamo ancora perché abbiamo più di un progetto e stiamo facendo una valutazione importante.
Allora aspettiamo con ansia di saperne di più! Grazie per il tuo tempo.
Grazie a te.