Incontro ravvicinato con Ethan Coen: la chirurgia nel cinema

Sul palco dell Festa del cinema di Roma il regista ha parlato di Hollywood, dei suoi film e di rimpianti

Il primo incontro ravvicinato della XIV Festa del Cinema di Roma, dal contenuto top secret fino all’ultimo, è stato con Ethan Coen, senza il fratello. Non è la prima volta che, nel 2019, il “regista a due teste” si sdoppia – alla Rencontres du 7e Art a Losanna era presente soltanto Joel.

Il direttore della Festa Antonio Monda aveva proposto una conversazione sul tema della sceneggiatura, ma il regista statunitense ha scelto invece la chirurgia nel cinema. Un argomento affrontato attraverso scene di film del passato e del presente, in cui si mostra in modo più o meno evidente un’operazione.

“Mi piace la chirurgia come espediente narrativo, soprattutto nei cosiddetti film di serie B e nei noir d’altri tempi, perché hanno premesse ridicole elaborate in modo molto serio. Penso a un film come Operazione diabolica di John Frankenheimer, del 1966, dove una misteriosa organizzazione è in grado di cambiarti completamente i connotati e darti una nuova identità, trasformando un tizio qualunque in Rock Hudson. Certo oggi il film non avrebbe la stessa forza di allora.”

Le dichiarazioni di Martin Scorsese di qualche settimana fa, dove ha definito “non cinema” i film Marvel, hanno fatto discutere. Ethan Coen cosa ne pensa?

“Secondo me ad essere cambiata è la percezione del cinema, quello che il pubblico si aspetta. Da questo punto di vista sono abbastanza d’accordo con quanto ha dichiarato Scorsese sui cinecomic Marvel: sono dei parchi divertimento. Non mi dispiace che esistano, ma che dominino al box office un po’ sì.”

Continuando l’excursus tra le scene chirurgiche spunta “Audition” di Takashi Miike (1999) in cui un regista, fingendo di dover girare un film, organizza audizioni per cercare la prossima moglie. La scena di una donna gelosa e delusa che tortura il regista è piuttosto disturbante. E offre l’occasione a Coen di parlare di censura e autocensura.

“Di solito ci censuriamo in fase di scrittura, scartando alcune idee, o poi in sala di montaggio. Non ci è mai capitato di essere frenati da qualche produttore. Chi accetta di finanziare i nostri progetti ha letto la sceneggiatura e sa che aspetto avrà il film finito, ha uno sguardo chiaro sull’insieme.”

Nonostante il tema dell’incontro sia la chirurgia, si finisce comunque a parlare di scrittura e sceneggiatura. Nei film dei Coen c’è spazio per l’improvvisazione oppure gli attori seguono sempre il copione alla lettera?

“Sul set gli attori non improvvisano mai, però può capitare, in sede di prove, che si modifichino delle battute perché in bocca a questo o quell’attore non hanno il suono giusto. C’è chi lavora con gli attori sulla costruzione dell’intera sequenza, come Mike Leigh, e lui fa un ottimo lavoro, ma non è il metodo che fa per noi.”

La filmografia dei Coen è piena di personaggi stupidi o che fanno scelte stupide. Ma c’è un film in modo particolare a cui il regista è legato, tra quelli realizzati finora?

“Non ne ho uno preferito inteso come film che mi piace rivedere, per il semplice motivo che non li rivedo proprio. Però in termini produttivi sono felice di aver potuto fare A Serious Man, perché quello trae ispirazione dalle nostre esperienze d’infanzia, parla di un mondo che non c’è più e che ricordiamo solo io e Joel, e quelli come noi.”

E un rimpianto?

“Dovevamo girare Oceano bianco, dal romanzo di James Dickey. Un film ambientato a Tokyo durante la Seconda Guerra Mondiale, con Brad Pitt nei panni di un soldato americano. Sarebbe stato per lo più senza dialoghi, perché lui non parla la lingua locale. Purtroppo non siamo riusciti a farlo, forse anche perché è una survival story senza la sopravvivenza.”

 

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