“Il primo re”: un film epico, brutale e spettacolare, unico nel suo genere

Il film di Rovere dimostra come l'industria cinematografica italiana non abbia paura di rischiare

Un film di Matteo Rovere. Con Alessandro Borghi, Alessio Lapice, Fabrizio Rongione, Massimiliano Rossi, Tania Garribba. Drammatico, 127′. Italia, Belgio 2017

Romolo e Remo, letteralmente travolti dall’esondazione del Tevere, si ritrovano senza più terre né popolo, catturati delle genti di Alba. Insieme ad altri prigionieri sono costretti a partecipare a duelli nel fango, dove lo sconfitto viene dato alle fiamme. Quando è il turno di Remo, Romolo si offre come suo avversario e i due collaborando con astuzia riescono a scatenare una rivolta, ma è solo l’inizio del loro viaggio insieme agli altri fuggitivi e a una vestale che porta un fuoco sacro. Sapendo di avere forze nemiche sulle proprie tracce decidono di sfidare la superstizione e si avventurano nella foresta, dove Remo dà prove di valore e conquista la leadership del gruppo, mentre Romolo può fare poco altro che riprendersi da una ferita. Quando a Remo viene letto il destino dalla vestale, lui decide di sfidare il volere degli dèi.

 

Dalla leggenda delle origini di Roma, che un po’ tutti conoscono, dal mito antico e primordiale, il regista Matteo Rovere crea un film molto complesso, sul rapporto tra i fratelli Romolo (Lapice) e Remo (Borghi), e sulla fondazione di una delle civiltà più importanti dell’antichità.

Idealmente diviso in due parti, “Il primo Re” mostra inizialmente un lento e ponderato costrutto basato sul rapporto tra uomo e natura e, intimisticamente, tra “ego” e “altro”. In questa prima parte ci sono Romolo e Remo contro il mondo, contro i pericoli rappresentati da Alba e dai suoi soldati, contro le angherie degli altri schiavi, contro il volere degli dei di cui tanto Romolo ha timore.

È occupandosi del fratello ferito e considerato maledetto dagli altri, che Remo perde la fede e inizia a idolatrare se stesso, novello re. Ed è così che entriamo nella seconda parte del film, più ritmata ma anche più frettolosa e confusa, tra battaglie, sfide e l’inesorabilità del destino.

Rigorosamente recitato in proto-latino, una lingua che nelle intenzioni degli sceneggiatori risultasse ruvida, “Il primo re” si regge sulle spalle di Alessandro Borghi e sulla sua grandiosa interpretazione, a cui fa da spalla un Alessio Lapice anche lui molto convincente.

Tra richiami a “Game of Thrones” e a “Revenant – Redivivo”, Rovere realizza un action storico, che sfrutta la sua complessità per proporre una riflessione sull’uomo, la nazione e Dio. Forse troppa carne al fuoco, ma pur sempre un coraggioso passo avanti verso un’evoluzione dell’industria cinematografica italiana che strizza l’occhio all’estero, e si vanta di essere anch’essa talentuosa e valida. Chi meglio di Rovere poteva provarci?

Il linguaggio non verbale, che molto spesso prevale sui dialoghi, porta a riflettere sulla lunga preparazione degli attori. Alessandro Borghi si impone, novello DiCaprio, cercando di conquistare la libertà, una voce, un popolo. Anche il Romolo di Alessio Lapice predilige silenzi che urlano.

La sceneggiatura ha richiesto un grande lavoro sull’antropologia ma anche sull’archetipo e sul mito. Un connubio vincente è la costruzione di contenuti sul silenzio, sulla sottrazione, sul rapporto tra uomo e natura, sul destino e l’arbitrio. Palese è anche la riflessione sulla contemporaneità occidentale e sul rapporto con Dio, sulla sua irraggiungibilità.

 

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