Un film di Jane Campion. Con Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Thomasin McKenzie, Keith Carradine. Drammatico, 125′. Nuova Zelanda, Australia 2021
Il carismatico allevatore Phil Burbank incute paura e rispetto alle persone attorno a lui. Quando il fratello porta a vivere nel ranch di famiglia la nuova moglie e il figlio di lei, Phil li tormenta finché non si ritrova vulnerabile alla possibilità di innamorarsi.
Secondo giorno di Venezia 78, secondo film in concorso e seconda acuta crisi cinematografica per il vostro inviato. È la regista neozelandese Jane Campion a raccogliere il testimone dal collega Almodóvar nel compito di mandarmi “ai pazzi”.
“Il potere del cane” (The Power of the Dog), prodotto da Netflix e in arrivo in streaming il 1 dicembre, è il secondo film uscito tra gli applausi del pubblico e l’ostentato silenzio del sottoscritto.
Come nel caso di “Madres paralelas” non si tratta di un brutto film in quanto tale – anzi sul piano estetico e visivo la regista dà una bella prova della sua creatività, regalando al pubblico un affresco dell’America rurale autentica, vivida, densa di colori e umanità.
La pellicola può contare su una crew di grandi professionisti in settori come la fotografia, i costumi e il trucco, e questo alza la qualità del progetto. Bella anche la cornice naturale, che rappresenta uno degli elementi portanti della storia.
Quello che mi ha convinto poco, invece, è proprio la sceneggiatura: troppo essenziale, asciutta, povera di particolari e dei necessari approfondimenti per comprendere i quattro capitoli che la compongono. In generale si fa fatica a capire quale sia il collante della storia, il focus.
Inizialmente “Il potere del cane” sembra voler raccontare della vita e soprattutto del rapporto che unisce i fratelli Phil (Cumberbatch) e George (Plemons) Burbank, che gestiscono insieme il ranch di famiglia nel Montana. Il primo, dall’importante passato accademico, è diventato un cowboy maschilista e misantropo. Il secondo, invece, è timido, schivo, educato e ben vestito.
Lo scenario cambia all’improvviso quando George sposa Rose (Dunst) e la porta, insieme al figlio Peter, a vivere al ranch. Phil considera la donna un’imbrogliona, manipolatrice che porterà solo guai all’ingenuo fratello, e così la convivenza diventa subito difficile, tra tensioni e dispetti.
Ma ecco che dalla tesa storia familiare ci si sposta su Rose, che diventa il nuovo focus del racconto. L’inaspettato cambio di prospettiva fa emergere le fragilità, le debolezze e se vogliamo anche i vizi segreti della donna, ritrovarsi catapultata improvvisamente all’interno di una famiglia di un ceto culturale ed economico superiore al suo.
Phil è il cattivo, il carnefice e Rose la vittima? Il quadro che sembra essersi finalmente chiarito viene di nuovo messo sottosopra dalla “variabile Peter”. Il ragazzo, strano e bizzarro, lontanissimo dalla società machista dei cowboy, sulla carta dovrebbe prendere il posto della madre come preda degli abusi dello zio acquisito.
Invece l’ultimo capitolo ribalta ruoli e destini di ogni personaggio, spiazzando lo spettatore che non ha più alcuna certezza.
“Il potere del cane” cerca di unire western e noir psicologico. Il risultato, però, è fumoso nelle intenzioni, slegato e discordante nella realizzazione. A partire dal titolo, che ancora adesso ho difficoltà a capire.