“Hellhole”: una città ferita e le storie delle sue anime perdute e sole

Bas Devos dirige un film che racconta la solitudine nella metropoli di oggi, e una possibile via d'uscita

Un film di Bas Devos. Con Willy Thomas, Alba Rohrwacher, Lubna Azabal, Hamza Belarbi. Drammatico, 87′. Belgio, Paesi Bassi 2019

Il ritratto di una città ferita in immagini enigmatiche: al suo centro stanno Bruxelles e le storie inquietanti delle anime perdute della città.

 

Nella vastissima sezione Panorama della Berlinale figura quest’anno “Hellhole”, un film che definirei incentrato sulla solitudine della vita moderna. La vita delle grandi metropoli multiculturali, brulicanti di individui che si sovrappongono, si affollano, si intersecano e si disperdono, in un via vai infinito.

La metropoli in questione è Bruxelles, ma se non lo sapessimo non la riconosceremmo; infatti non vediamo i suoi eleganti quartieri centrali, la Grande Place, i negozi di cioccolato, e nemmeno uno scorcio dell’Atomium. Niente ci fa capire che siamo nella capitale belga, se non una scena nel Parlamento Europeo. Per il resto, vediamo edifici anonimi, che potrebbero essere dovunque, in una qualsiasi grande città. Un buco infernale, come ci suggerisce cupamente il titolo.

Questa anonimia urbana contribuisce al senso di isolamento che pervade tutto il film e caratterizza i personaggi, che sono tutti, ognuno in modo diverso, soli e solitari. I protagonisti sono un adolescente di origine magrebina, un medico fiammingo di mezza età e una giovane traduttrice italiana: tre generazioni con niente in comune se non il sentirsi soli. Le loro storie procedono su binari paralleli che si sfiorano ma non si incrociano mai, oscillando tra paura e noia.

Perché il regista Bas Devos ha voluto ritrarre Bruxelles in modo così tetro e sconsolato? Penso che abbia voluto mostrare il lato più cupo della vita odierna, sconvolta dalle tante tragedie che colpiscono la nostra società, tra cui spicca il terrorismo. O più precisamente, la minaccia del terrorismo, quell’infida paura sopita che porta a sospettare del diverso e a non sentirsi sicuri lontano da casa.

Eppure andiamo sempre più spesso e con facilità, lontano da casa, in questo mondo così veloce, così connesso, così moderno. Ma una chiamata su Skype non basta per alleviare la solitudine. Alla fine, solo il contatto umano può attenuare le nostre paure, ed “Hellhole” ce lo suggerisce, più che dircelo apertamente, quasi avesse paura di darci troppe false speranze.

Questo secondo lungometraggio di Bas Devos è supportato da una buona prova di tutto il cast e da una buona sceneggiatura, a conferma che il premio assegnato a “Violet” nella sezione Generation 14plus nel 2014, qui alla Berlinale, è stato una scelta lungimirante.

 

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