Fiuggi Film Festival: a lezione dallo sceneggiatore Vincenzo Scuccimarra

Il mondo è bello perché è vario, anche quello dei Festival cinematografici. Ad attirare i giornalisti e il pubblico non sono solo le grandi manifestazioni glamour – Roma, Berlino, Cannes, Venezia – ma talvolta anche quelle meno pubblicizzate, che si rivelano però ricchissime di spunti.

Su Parole a Colori facciamo del pluralismo uno dei nostri punti di forza, per questo il vostro cronista d’assalto si trova oggi nella ridente Fiuggi, località laziale famosa soprattutto per le terme, ma sede da nove anni anche di un Film Festival.

Fiuggi Film Festival, giovani

Abbiamo presentato il programma qualche giorno fa – potete trovarlo su Parole a Colori o sul sito ufficiale della kermesse. Oggi pomeriggio al Teatro Comunale si è svolto il secondo appuntamento della sezione “Meet & Greet”. Sul palco è salito Vincenzo Scuccimarra, sceneggiatore e consulente acquisizioni corti per il canale Universal.

Scuccimarra si è di recente messo in luce per la sceneggiatura di “S is for Stanley” di Alex Infascelli (leggi la recensione), racconto dell’atipica amicizia che ha unito per trent’anni il regista Stanley Kubrick e il suo autista Emilio D’Alessandro.

Nella lectio magistralis tenuta al pubblico del Fiuggi Film Festival, non si è parlato tanto di questo singolo progetto, ma delle origini e dell’evoluzione del cortometraggio in Italia.

Il corto “di narrazione”, ha spiegato Scuccimarra, è un genere relativamente giovane nel nostro Paese; fino a vent’anni fa, infatti, era impensabile pensare a una narrazione che non fosse di natura documentaristica o sociale. I primi registi, oltre al relatore stesso, che si sono lanciati nella sperimentazione sono stati Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, partiti da questa esperienza per poi approdare al mondo del lungometraggio.

“In passato un giovane regista che ambiva a fare un film doveva gioco forza iniziare dai cortometraggi – ha spiegato Scuccimarra -. non solo per farsi le ossa, ma per farsi notare, magari in qualche Festival, prima e vitale vetrina per un aspirante cineasta. Oggi, invece, grazie alle nuove tecnologie chiunque con una Canon e una buona idea può pensare di girare un film”.

Di cortometraggi ne esistono essenzialmente due tipologie: quelli classici, che assomigliano a un film essendo strutturati in tre precisi momenti – apertura, climax e soluzione del problema – e quelli “a escalation”, che possono partire o meno da un evento reale ma termineranno sempre in un modo surreale o grottesco.

Per far comprendere al pubblico la sottile ma fondamentale differenza tra i due sono stati proiettati due acclamati corti.

Tiger Boy” di Gabriele Mainetti (2013), corto classico, ha una struttura lineare, chiara, ben definita. Sin dalla prima scena il bambino protagonista è deciso a indossare la maschera dell’uomo tigre, e se la toglierà poi solo alla fine, quando ispirandosi al suo eroe riuscirà a liberasi dal giogo del preside pedofilo. Per inciso “Tiger Boys” ha sfiorato l’ingresso nella cinquina dei candidati all’Oscar 2015.

Buongiorno” di Melo Prino, vincitore dieci anni fa del Torino Film Festival e corto italiano più selezionato al mondo rappresenta invece la seconda tipologia “a escaltion”. Un uomo, al mattino appena sveglio, specchiandosi vede diverse espressioni della sua personalità che si burlano di lui.

Negli ultimi anni si sono imposti i cosiddetti corti “brandizzati”, commissionati da grandi marchi e aziende per esaltare se stesse più che un prodotto specifico. Non sono semplici spot, anche se vengono poi trasmessi in tv, ma vere mini-storie, dirette da registi del calibro di Wes Anderson e Roman Polanski.

“Tra scrivere la sceneggiatura per un corto o per un lungometraggio – ha continuato Scuccimarra – in effetti non c’è grande differenza: in entrambi i casi è necessario impegnarsi e lavorare sodo, perché la scrittura rimane il punto di partenza di qualsiasi progetto”.

L’incontro si è concluso con un bel dialogo tra lo sceneggiatore e il pubblico, un botta e risposta coinvolgente che ha toccato diversi tempi.

“Il cortometraggio va considerato un’opera d’arte, alla stregua di qualunque film, perché sono solo pochi, nonostante il proliferare sulla rete, quelli davvero ispirati e degni di essere visti, frutto di un lavoro sentito e curato”. Parola di sceneggiatore e regista.





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