“Diabolik sono io”: una docufiction che omaggia il ladro di Clerville

Giancarlo Soldi unisce documentario e finzione, in una storia dove creatore e personaggio si inseguono

Un film di Giancarlo Soldi. Con Luciano Scarpa, Stefania Casini, Manuela Parodi, Francesca Fiorentini, Paolo Buglioni. Documentario, 75′. Italia 2019

Nel 1962 il primo numero di Diabolik fu disegnato da un uomo divenuto poi irrintracciabile, soprannominato “il Tedesco” perché portava pantaloni a mezz’asta e calzava spesso sandali – a volte anche con i calzini. Di nome pare facesse Angelo Zarcone, ma i suoi disegni non videro la luce perché furono sostituiti da quelli di un altro autore e di Zarcone non si seppe più nulla, nemmeno quando le ideatrici del personaggio, le mitiche sorelle Giussani, cercarono di ritrovarlo affidandosi a detective privati. Il documentario immagina così che Zarcone abbia perso la memoria e sia rimasto in lui un ricordo di Diabolik tanto forte da confondere la finzione e la realtà, così come il documentario stesso passa da testimonianze reali a interviste fittizie.

 

A metà tra realtà e finzione, “Diabolik sono io” ricostruisce la misteriosa scomparsa del disegnatore del primo albo del fumetto, Angelo Zarcone. Soprannominato “il Tedesco”, di lui si sa ben poco: dopo aver consegnato alla redazione Astorina le tavole de “Il re del terrore”, nel 1962, sparì senza lasciare tracce.

Un uomo in fuga? Un’ambra nera che si aggira nella notte? Provando a cercarlo, chi ci troveremmo davanti, Angelo Zarcone o Diabolik? È da queste domande che prende il là il docufilm di Giancarlo Soldi, che prova a delineare un identikit del disegnatore, mixandolo con l’identità di Diabolik stesso. Stando dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto, personaggio e illustratore hanno infatti fattezze simili, soprattutto quegli occhi azzuri diventati leggenda.

Il regista è stato bravo a inserire una storia “minore” e intrigante nella macrostoria nota. Purtroppo la parte di finzione risulta quella più debole. In compenso il documentario è ben costruito e impeccabile.

Le interviste spaziano da quella ad autorità nel campo del fumetto come Mario Gomboli, responsabile assoluto di Diabolik, Gianni Bono, creatore del Museo del fumetto di Lucca, Tito Faraci e Milo Manara, a quelle ad esperti di noir come Carlo Lucarelli e Andrea Carlo Cappi e a fan della serie come i Manetti bros.

Ma la vera chicca sono le interviste inedite alle sorelle Giussani, scovate negli archivi Rai, dove vediamo le due ideatrici e reali scopritrici di Diabolik raccontare e difendere la loro creatura sorseggiando una tazza di tè. Scopriamo, inoltre, che l’intera redazione di Diabolik è composta da donne.

Costruito come un vero e proprio thriller in cui la vita del fumetto e del suo autore si fondono in un gioco di specchi, “Diabolik sono io” è una pellicola intrigante che avrebbe potuto tranquillamente fare a meno della parte di finzione. Sarebbe bastato il personaggio, a renderlo valido.

 

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