“Dark Night”: un crescendo di tensione e tragedia che scuote

Tim Sutton prende spunto dai fatti accaduti ad Aurora nel 2012 per riflettere sul nostro quotidiano

di Alessandra Pappalardo

 

Un film di Tim Sutton. Con Eddie Cacciola, Aaron Purvis, Shawn Cacciola, Anna Rose, Robert Jumper. Drammatico, 85′. USA, 2016

È un occhio che apre il film, un occhio su cui si riflettono luci blu e rosse, luci che sembrano provenire da uno schermo e invece si rivelano quelle di una volante di polizia. Perché la catastrofe lentamente annunciata per tutto il corso di “Dark Night” si è consumata proprio in un cinema, luogo che forse più incarna il limbo tra la vita e la morte, dove i personaggi sullo schermo sono materia eterea, fantasmi. E come fantasmi si muovono i protagonisti, esistenze vuote e svuotate della periferia americana, storie banali nella loro eccezionalità che andranno tutte a convergere proprio in una sala cinematografica.

 

Terzo lungometraggio del regista Tim Sutton, “Dark night” privilegia una narrazione fortemente visiva che trasporta lo spettatore nella vita sfilacciata e ovattata di una cittadina di periferia degli Stati Uniti.

Le sequenze del film – che creano un crescendo di tensione emotiva – non sembrano davvero connesse una con le altre, rispecchiando lo stato d’animo dei personaggi che vivono in un vuoto esistenziale fatto di relazioni rarefatte, che cercano di incontrarsi senza mai riuscirci davvero.

La violenza non viene mai mostrata in maniera diretta, ma è sempre dietro l’angolo, pronta a esplodere e a irrompere sulla scena. Il silenzio e l’assenza di contatto umano rappresentano la genesi di quella follia omicida che il regista sceglie comunque di far solo intendere a chi guarda, senza esplicitarla.

Liberamente ispirato ai fatti accaduti nella cittadina di Aurora nel 2012, quando il 24enne James Holmes fece fuoco sul pubblico in sala all’interno di un cinema, “Dark Night” si concentra sul sostrato sociale che può aver prodotto la strage, in un gioco di specchi in cui i ruoli di vittime e carnefice sembrano tutt’altro che stabili.

Sutton sembra voler suggerire a chi guarda che quella violenza non è stata il gesto sconsiderato di un singolo individuo, ma una conseguenza diretta e inevitabile di un contesto sociale che genera disagio e assenza di profondità relazionale, in cui il grilletto di un’arma troppo disponibile per tutti aspetta solo di essere premuto da qualcuno.

La colonna sonora delicata di Maica Armata fa magistralmente da sfondo alla vicenda che si consuma lentamente ma inesorabilmente, e spinge lo spettatore a una riflessione intensa sul quotidiano e sulla sua trasformazione in una scena di “ordinaria follia”.

 

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