Un film di Denis Villeneuve. Con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma. Fantascienza, 116’. USA 2016
Louise Banks, linguista di fama mondiale, è madre inconsolabile di una figlia morta prematuramente. Ma quello che crede la fine è invece un inizio. L’inizio di una storia straordinaria. Nel mondo galleggiano dodici navi aliene in attesa di contatto. Eccellenza in materia, Louise è reclutata dall’esercito degli Stati Uniti insieme al fisico teorico Ian Donnelly. La missione è quella di penetrare il monumentale monolite e ‘interrogare’ gli extraterrestri sulle loro intenzioni. Ma l’incarico si rivela molto presto complesso e Louise dovrà trovare un alfabeto comune per costruire un dialogo con l’altro. Il mondo fuori intanto impazzisce e le potenze mondiali dichiarano guerra all’indecifrabile alieno.
Probabilmente il segno del mio invecchiamento non è tanto rappresentato dal decadimento fisico o mentale quanto piuttosto dal fatto che, alla fine di certe proiezioni, i colleghi applaudano fin quasi a spellarsi le mani mentre io resto perplesso, titubante, con la strana sensazione di aver già visto anni prima qualcosa di simile.
Dopo la prima mezz’ora di “Arrival” di Denis Villeneuve nella mia mente sono scorse immagini di “Contact” di Robert Zemeckis (1997), con Jodie Foster a vestire i panni di una stimata scienziata mai rassegnatasi al fatto di aver perso il padre, tanto da cercare un modo per poterlo riabbracciare. Qui la protagonista Louisa (Adams) ha da poco perso la figlia.
In entrambi i film compaiono alieni desiderosi di comunicare con la Terra, ma politici e regnanti, spiazzati e intimoriti da questa invasione pacifica, non trovano di meglio da fare che litigare tra di loro, fino a scatenare una guerra intergalattica.
“Arrival” ha delle ambizioni drammaturgiche più alte rispetto a quelle del classico film di fantascienza, cercando di emulare se non superare “Intestellar” di Christopher Nolan quanto a implicazioni filosofiche, fisiche e introspettive.
I problemi si presentano quando lo sceneggiatore, nel tentativo di dimostrare di essere il più bravo, finisce per perdersi per strada, smarrendo l’identità della storia. Il film finisce per essere tanto fumo e pochissimo arrosto.
La regia di Villeneuve, per quanto creativa, delicata e originale, non basta a dare verve e forza alla pellicola che risulta statica e troppo concettuale. Amy Adams, dal canto suo, mette in campo esperienza, talento e carisma e così facendo non si perde nel gorgo circolare della storia, ma comunque non convince fino in fondo anche per colpa di un testo troppo pretenzioso.
“Arrival” è un capolavoro? Diventerà un cult? Forse sì, ma al vostro cronista resta comunque la sensazione di non aver visto proprio niente di nuovo.
Il biglietto da acquistare per “Arrival” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio (con riserva). Ridotto. Sempre.