Ci sono vari modi per elaborare un lutto. C’è chi si chiude in casa a piangere, isolandosi da tutto e tutti, chi si ubriaca, chi mangia, chi si droga, chi diventa volutamente “stronzo” e acido. È vero che le ferite dell’anima non si vedono, ma fanno male quanto – se non di più – di quelle fisiche.
Immaginate un Dr House in versione femminile e avrete Claire Simmons (Aniston). Chi è Claire? Un avvocato brillante e soprattutto una donna arrabbiata e dolorante, nel fisico e nello spirito.
Lo spettatore la inquadra fin da subito, quando, nella prima scena del film, viene mostrata durante l’incontro di un gruppo femminile di sostegno a persone in depressione, che commenta con cattiveria e cinismo il suicido di una paziente, la giovane mamma Nina (Kendrick).
Claire è cosi perché soffre a causa di incidente occorsole da più di un anno che le ha devastato il fisico, lasciandole sul corpo e sul viso terribili cicatrici e causandole atroci dolori che solo l’abuso di antidolorifici riescano a placare.
Dorme poco, ha allucinazioni e ha eretto un muro nei confronti del mondo mettendo al bando ogni tipo di emozione. Solo la dolce e premurosa colf messicana Silvana (Barraza) riesce a rompere il suo isolamento emotivo, facendole anche da autista nei suoi viaggi tra le varie farmacie alla ricerca delle indispensabili pillole.
L’incidente ha stravolto in maniera tragica e drammatica l’esistenza di Claire, spingendola ad allontanare il marito e ad avere istinti suicidi a causa della perdita del figlio. Nel corso del film, però, a questo istinto di morte si sostituisce la curiosità di conoscere la famiglia di Nina, la madre suicida: l’inizio dell’amicizia con il marito di lei, Roy (Worthington), e la conoscenza del figlio della coppia diventano una forma alternativa di antidolorifico.
Jennifer Aniston sorprende con una prestazione intensa e toccante, mostrandosi capace di portare in scena una forma di dolore diverso dal solito. Infatti l’attrice americana, grazie a un testo ben scritto e tagliato su misura per lei, racconta l’incapacità di una donna di elaborare un lutto, mostrandoci il dolore anche visivamente, attraverso le sofferenze fisiche, le maschere e smorfie della protagonista. Il pubblico non può non essere toccato da una performance così credibile e realistica.
Degna spalla della Aniston è sicuramente Adriana Barraza che regala un’interpretazione di alto livello, dando al suo personaggio al contempo leggerezza e umanità.
La regia, forse più di taglio televisivo, è comunque nel complesso puntuale e precisa nel raccontare l’evoluzione emotiva della protagonista, garantendo sempre un buon pathos.
Il film risente, invece, di un ritmo narrativo non sempre costante e fluido e così, nella seconda parte, si avverte un appesantimento e una certa lentezza nello sviluppo della storia che in qualche mondo incide negativamente sull’attenzione del pubblico, dando la sensazione di trovarci davanti a “un brodo allungato”.
Il finale, seppure prevedibile, riesce comunque a emozionare e toccare l’anima dello spettatore grazie all’intensità della Aniston e al forte messaggio rivolto a chi si strugge ed è piegato dal dolore da ogni punto di vista. Nonostante tutto, rimettersi in piedi, con la schiena dritta, è sempre possibile.
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Il biglietto d’acquistare per “Cake” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.