“Time to hunt”: storia ad alta tensione in una Corea post-apocalittica

Sung-hyun Yoon dirige un film ben costruito, che si perde però nell'ultima parte risultando banale

Un film di Sung-hyun Yoon. Con Lee Ji-Hoon, Jae-hong Ahn, Choi Woo-Sik, Jung-min Park,  Park Hee-Soon. Drammatico. Corea del Sud 2020

Nel prossimo futuro, una crisi finanziaria colpirà la Corea e sorgeranno delle baraccopoli. Da quelle aree, un gruppo di giovani commette un crimine per sopravvivere.

 

Che ansia, signori! Non sto parlando della psicosi per il coronavirus, ma di quella trasmessa da “Time to hunt”, secondo lungometraggio del coreano Yoon Sung-hyun, presentato nella sezione Special Gala della Berlinale 2020.

Se amate i film d’azione ad alta tensione, questo fa al caso vostro. Ci si trova davanti un inseguimento continuo, senza respiro, senza speranza, senza uscita. Il ritmo è veloce, a tratti frenetico; il sangue versato parecchio.

Siamo in una Corea post-apocalittica, dove il denaro ha perso ogni valore e le persone ogni speranza di futuro. Tre amici – uno dei quali interpretato da Choi Woo-shik, reduce dal successo planetario di “Parasite” – sono dei delinquentelli disperati che tentano il colpo perfetto… o meglio, quasi perfetto.

E così comincia l’inseguimento dei personaggi e l’ansia degli spettatori, che arrivano stremati a sperare che vengano tutti ammazzati velocemente, così da finirla e tornare a un battito cardiaco normale.

“Time to hunt” è costruito bene, ed è lodevole il suo intento di muovere una critica alla società capitalista moderna. Anche le performance attoriali sono convincenti. Purtroppo, nell’ultima parte, la sceneggiatura cade nello stereotipo dell’action movie americano, proponendo cattivi cattivissimi e sovrumani, morti strappalacrime e discorsi da supereroe idealista.

Un peccato, perché se Yoon avesse cercato una conclusione più originale e più breve la storia ne avrebbe guadagnato, e io gli avrei anche perdonato di avermi fatto venire la tachicardia.

 

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