“The Goldman case”: un’opera asciutta e tesa, con un ottimo cast

Ogni spettatore viene chiamato in causa e interpellato quale giurato, in questo processo

Un film di Cédric Kahn. Con Arieh Worthalter, Arturo Harari, Maxime Canat, Jeremy Lewin, Arthur Harari. Drammatico, 115′. Francia 2023

La storia vera del secondo processo a cui fu soggetto Pierre Goldman, militante della sinistra estrema francese nel 1975. Accusato di reati multipli, Goldman ammette tutti i capi d’accusa con la veemente eccezione di quelli per omicidio, per i quali non solo si proclama innocente ma si scaglia polemicamente contro tutto e tutti nell’aula di tribunale, rifiutando qualunque caratterizzazione moralistica della sua difficile vita.

 

La legge è uguale per tutti? Quasi sempre. Gli uomini chiamati a giudicare sono capaci di farlo senza lasciarsi influenzare da condizioni esterne? Purtroppo no. Sono considerazioni amare, me ne rendo conto, ma purtroppo vere in ogni parte del mondo.

In Italia sono necessari tre gradi di giudizio per stabilire l’innocenza o la colpevolezza di un individuo, ma molti processi si lasciano dietro uno strascico di polemiche e ricusazioni. In Francia la situazione non è molto diversa, e alcuni celebri quanto controversi processi sono stati segnati anche dall’infamante sospetto di una sentenza razziale e politica più che legale.

“The Goldman case” di Cédric Kahn, film di apertura della 55° Quinzaine de Réalisateurs, consente ai giovani e in generale al pubblico meno edotto delle vicende giudiziarie francesi del secolo scorso di rivivere in modo rigoroso e puntuale il processo d’appello del 1976 contro Pierre Goldman, ebreo polacco figlio di un eroico partigiano della Resistenza, accusato di aver ucciso 4 persone nel corso di alcune rapine.

Gli sceneggiatori Cédric Kahn e Nathalie Hertzberg hanno compiuto un notevole e appassionato lavoro di preparazione alla sceneggiatura, leggendo gli atti processuali, ascoltando i testimoni oculari e i supporter di Goldman, decidendo di evitare una ricostruzione di parte o comunque filtrata dalle loro personali opinioni, e lasciando invece parlare i fatti.

Una scelta prima narrativa e dopo registica – supportata da una messa in scena misurata e poco urlata e da un ottimo cast – che si è rivelata convincente e soprattutto funzionale a far sì che ogni spettatore diventi lui stesso giurato di questo processo anomalo.

Goldman, militante di sinistra formatosi a Cuba e successivamente con la guerriglia militare in Venezuela, rivendicò gli atti criminosi compiuti, ma rifiutò con forza l’accusa di aver anche assassinato donne inermi. E questo rende “The Goldman Case” per certi versi un inedito cinematografico. L’imputato non è empatico, non cerca di passare da vittima di una congiura ma rivendica con orgoglio la propria storia criminosa.

E alla fine vince la sua battaglia di principio, scrivendo un pezzo di storia legale della Francia. Finì poi assassinato poco tempo dopo la scarcerazione. Un omicidio senza colpevoli, per la giustizia francese. L’ultimo passaggio di una vita vissuta orgogliosamente controcorrente.

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