“Teatro Lyceum”: un elegante noir asiatico in bianco e nero

Lou Ye dirige un film che si salva con il terzo atto, risolutivo e spettacolare, dopo uno sviluppo lento

Un film di Lou Ye. Con Li Gong, Tom Wlaschiha, Mark Chao, Pascal Greggory, Joe Odagiri.
Drammatico, 126′. Cina 2019

Shanghai nel 1941 è un luogo isolato e diviso dalla guerra, con le forze giapponesi a occupare tutta la città con l’eccezione degli insediamenti internazionali. A sorpresa, la celebre attrice Jean Yu arriva per recitare in uno spettacolo teatrale diretto da una vecchia fiamma, Tan Na. Anche l’ex marito di Jean si trova a Shanghai, prigioniero dei giapponesi. Mentre il giorno della prima si avvicina, Jean si ritrova a recitare un ruolo fondamentale nelle macchinazioni dei servizi segreti di tre paesi diversi.

 

Una spy story in bianco e nero, una fotografia fatta da primissimi piani e un’attrice sublime che torna al cinema dopo film epici come “Lanterne rosse” e “Memorie di una geisha”, Gong Li. Diretto da Lou Ye, “Teatro Lyceum” ha uno sviluppo lento che esplode, in un climax mal riuscito, negli ultimi quaranta minuti.

Codici segreti, doppi giochi, sparatorie, prove di teatro e l’arte dentro l’arte: una serie di temi ricorrenti nel cinema asiatico e poco forti che convergono verso un unico punto, tutto si poggia sulle spalle di Gong Li.

Le pretese vengono disattese e dipanate nel momento in cui molto di ciò che è perfettamente deducibile viene mostrato in un’ottica didattica, da “spiegone” prolisso, che certo non ha un bell’impatto sul ritmo. Sarebbe bastato ridurre il minutaggio, forse, per ovviare ai problemi.

Se il secondo atto è lento, a tratti noioso, il terzo, quello risolutivo, è spettacolare. Tutti i nodi giungono al pettine in un crescendo adrenalinico e sostenuto. E questo porta a rivedere il giudizio finale su “Saturday fiction”. Perché alla fine il retrogusto che ti rimane in bocca alla fine del pasto può fare la differenza.

 

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