Il bar dello sport è uno dei simboli del relativismo per eccellenza: qui qualsiasi argomento è degno di diventare oggetto di discussioni, sia questo serio oppure giocoso.
Ebbene, da domenica sera ho aggiunto alla lista delle cose che è possibile relativizzare l’arte del Teatro. I puristi, di fronte a questa mia affermazione, potrebbero inorridire e smettere di leggermi, eppure dopo aver assistito alla finale del Roma Fringe Festival l’esclamazione che mi è salita alle labbra è stata: “Complimenti e lunga vita ai vincitori, però…”
Un però, va precisato, da spettatore pagante, spettatore che per un mese ha visto gli spettacoli facendosi una sua idea e soprattutto stilando una sua personale classifica di merito.
Personalmente amo questo festival, perché si tratta di una bella opportunità per il pubblico di conoscere nuovi talenti e di poter respirare un’atmosfera diversa e fresca.
Non mi stancherò mai di elogiare pubblicamente il direttore artistico Davide Ambrogi e il suo staff per il coraggio e la lucida follia che dimostrano dal 2012 nel “montare” questo evento. Sarebbe un peccato se l’anno prossimo il Fringe non ci fosse perché i nostri “Don Chisciotte” si sono stancati di combattere da soli… per questo lancio il mio grido d’allarme! Sostenete Ambrogi e il suo staff, il Fringe deve vivere, continuare e migliorarsi.
Fatta questa premessa, l’edizione 2015 mi è piaciuta, ma non mi ha esaltato. Mi sono appuntato il nome di alcuni attori interessanti, ho applaudito alcuni spettacoli particolari, ma rispetto agli anni scorsi non ho gridato al capolavoro. Ribadisco i gusti sono personali e gli esperti potranno benissimo dire l’esatto contrario.
Che finale è stata quella di domenica? Una finale in cui, grazie agli spettacoli “Guerriere: Tre Donne nella Grande Guerra” e “Gli Ebrei sono Matti”, lo spettatore ha potuto rivivere l’orrore del passato, e fare i conti con la stupidità dell’uomo, capace di nefandezze senza pari e di un’offuscamento quasi totale della ragione.
In “Guerriere” viene anche messo in evidenza un aspetto paradossale del periodo bellico: nonostante sia stata una tragedia a tutti gli effetti, è stato allora che le donne sono uscite dall’ombra, conquistandosi un ruolo attivo e di primo piano nella società.
Con lo spettacolo “Les Aimants” il pubblico ha ammirato e quasi danzato la vita di un coppia. Il messaggio che fuoriesce dalla piece è che, nonostante le differenze e le liti, l’amore è ancora l’unico vero collante capace di tenere insieme due persone.
“Fäk Fek Fik – Le tre giovani – Werner Schwab“, vero trionfatore della serata, con ben tre premi conquistati, per finire, ha messo l’accento sul ruolo della donna nel mondo di oggi, sulla sua ricerca di un uomo e di una famiglia, sulla lotta per non essere considerata soltanto un oggetto ma una persona.
La giura tecnica ha premiato le tre interpreti di “Fak Fek Fik”, Martina Badiluzzi, Ylenia Giovanna Cammisa e Arianna Pozzoli, non solo come migliori attrici – perfetto esempio di come tre diverse anime e sensibilità possano fondersi e diventare una sola – ma anche come drammaturghe, avendo vinto insieme al regista Dante Antonelli il premio migliore drammaturgia. Personalmente mi sento di assegnare una menzione in più a Martina Badiluzzi, per una personalità e grinta scenica non indifferenti. “Fak Fek Fik” ha vinto anche il premio come miglior spettacolo – e io personalmente avrei invece premiato il coraggio di “Guerriere”.
La migliore regia, e con questo concordo, è andata ad Andrea De Magistris per “Anselmo e Greta”, la divertente e particolare rielaborazione in chiave moderna della famosa fiaba dei fratelli Grimm.
Infine il premio come migliore attore è andato a Pierre Yves Massip per l’interpretazione in “Les Aiamants” confermando ancora una volta come a un attore non serva la parola per dimostrare il proprio talento: basta il corpo, se ben usato, per esprimersi ed emozionare.
Alle due e mezza di una caldissima domenica notte è calato il sipario sulla quarta edizione del Roma Fringe Festival, tra i pianti di gioia dei vincitori e i sorrisi stanchi, ma soddisfatti, degli organizzatori. Perché il teatro è vita, per cui sarebbe un peccato non viverla e assaporarla il più possibile – anche grazie allo stimolo del Fringe.