London Film Festival: premiazione nel segno della creatività e dell’inventiva

“Loveless” del russo Andrey Zvyaginste, già presentato a Cannes, si aggiudica il concorso ufficiale

Dopo undici giorni di intensa competizione, il London Film Festival 2017 ha incoronato, nella serata di ieri, sabato 14 ottobre, i suoi vincitori.

Nonostante il diverso modo di guardare al cinema, tutte e quattro le categorie del festival – miglior film (Official competition), miglior promessa (The Sutherland Award), miglior documentario (The Grierson award), miglior corto (short film competition) – hanno premiato, fra i molti film in gara, quelli che si sono distinti per la loro creatività, le loro abilità tecniche, l’inventiva, l’immaginazione, e per il loro valore culturale.

Dal punto di vista di chi, questo festival, lo ha vissuto sulla propria pelle, posso dire che le giurie non avevano che l’imbarazzo della scelta.

 

MIGLIOR FILM: “LOVELESS”

“Loveless” di Andrey Zvyaginste (già presentato in concorso al Festival del cinema di Cannes) si aggiudica il concorso ufficiale. Il film russo segue il divorzio travagliato di una coppia, che deve anche affrontare la scomparsa dell’unico figlio, Alexey.

Imponendosi su avversari temibili come “Beyond the Cloud”, “Angels Wear White”, “The Lovers” e “Sweet Country”, il film di Zvyaginste si dimostra il più abile a guardare ai problemi della società contemporanea con uno sguardo universale e unico. La giuria – composta tra gli altri da Eric Bana, Andrea Arnold e Babak Anvari – descrive il film come “poetico e bellissimo” ma anche “oscuro e raccontato con passione feroce”, capace di concentrarsi sulla storia intima di una famiglia per trasmettere l’emozione di una tragedia universale in grado di trasformare il personale in una forte critica politica e sociale sul momento storico in cui viviamo.

 

MIGLIOR PROMESSA: “THE WOUND”

La giuria del Sutherland Award, presieduta da Melissa Parmenter, ha scelto come miglior film di regista emergente “The Wound” di John Trengove. Ambientato in Sud Africa, il film esplora il tema della mascolinità all’interno del rito di iniziazione di giovani uomini della comunità Xhosa.

Con un cast principalmente autoctono, il film guarda con autenticità al problema del crescere come uomini, e delle ferite fisiche e personali che vengono inflitte all’individuo durante il percorso. Queste caratteristiche sono evidenti alla giuria che si definisce innamorata dell’urgenza, della vitalità e dell’originalità dei temi trattati nella pellicola.

 

MIGLIOR DOCUMENTARIO E MIGLIOR CORTO

Ultimi ma non ultimi, i premi al miglior documentario e al miglior corto vanno, rispettivamente, a “Kingdom of Us” di Lucy Cohen e “The Rabbit Hunt” di Patrick Brensan.

Una scena del documentario “Kingdom of Us” di Lucy Cohen.

Descritto dalla giuria come un documentario che sa “catturare un livello straordinario di intimità familiare nella sua esplorazione del dolore e della memoria”, “Kingdom of Us” segue e racconta il dramma di una famiglia inglese dopo il suicidio del padre.

Una scena del cortometraggio di Patrick Brensan “The Rabbit Hunt”.

Allo stesso modo, il miglior corto di questa edizione del London Film Festival, “The Rabbit Hunt”, riprende una famiglia della Florida, alle prese con una caccia al coniglio, a metà strada tra un rito di passaggio e una fonte di sostentamento. La giuria riconosce al lavoro di Bresnan un’abilità eccezionale nel guardare con onestà e sicurezza alle azioni della famiglia, al di fuori del trambusto quotidiano, senza sovrapporre al loro operare alcun tipo di giudizio.

 

Applausi, luci spente. Cala il sipario su questo 61° BFI. Un festival innovativo, animato da pellicole di grande interesse sociale e culturale, che sembrano aver cercato, ognuna a suo modo, di dimostrarci che, a prescindere dai fattori sociali che ci identificano, siamo tutti uguali di fronte al dolore, all’amore, all’importanza della memoria, ma soprattutto, al bisogno umano e intimo di trovare il nostro posto nel mondo.

Dagli angoli più remoti dell’Asia a quelli più familiari di Europa e America, i film di quest’anno si sono concentrati sul grande problema delle emozioni individuali, per andare al di là delle maschere sociali, culturali e politiche, e trasformarci tutti compagni e complici nello stare al mondo.

Leggendo i commenti ai premi, posso solo dire che i giurati hanno compreso lo spirito del festival, e hanno senz’altro premiato chi, non meglio ma più degli altri, è riuscito a comunicare e trasmettere questo messaggio in modo creativo e efficace.

Per questo, cari lettori, penna e taccuino alla mano, annotatevi i titoli protagonisti del London Film Festival, da ottobre in viaggio verso le grandi e piccole sale del mondo, e preparatevi a esperienze cinematografiche a cui il cinema dei blockbuster ci ha forse un po’ disabituato.

Il mio lavoro da inviata è finito, ora comincia il vostro, di spettatori. Luci. Sipario. The End.

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