Benedetta Cimatti: “Da bambina recitavo da sola, nella mia stanza. Poi ho deciso di aprire la porta”

Intervista all'attrice faentina che si è imposta all'attenzione del pubblico con la serie "L'ispettore Coliandro - Il ritorno"

Dimenticate le attrici “da red carpet”, che amano stare al centro dell’attenzione e smaniano per una foto e un servizio. Benedetta Cimatti, classe 1989, faentina doc, nel profilo non ci si rivede proprio.

Timida e riservata, tanto da arrossire se le vengono fatte domande poco discrete e da venire bonariamente definita “eremita” dagli amici, l’attrice ha iniziato in teatro ma ha raggiunto la popolarità grazie alla tv. Nella serie L’ispettore Coliandro – Il ritorno” ha vestito i panni del sovrintendente Buffarini, in “La strada di casa” quello della giovane Milena.

Ma la Cimatti, che al momento sta lavorando su se stessa per interpretare al meglio una scalatrice molto mascolina in “Atlas” e aspetta di arrivare al cinema nel 2018 con altri due film, ama sperimentare, quando si tratta di personaggi. Perché alla fine non è proprio questo il bello del mestiere di attore?

Ne abbiamo parlato con lei in questa intervista per Parole a Colori.

Benvenuta a Benedetta Cimatti. Rompiamo il ghiaccio con una domanda facile. Come ti definiresti usando solo tre aggettivi?

Iniziamo con una domanda facile, facile, vero? [ride] Se dovessi usare tre aggettivi, sarebbero tre completamente diversi tra loro. Timidissima, testrardissima e atipica come attrice. Penso di avere un carattere particolare, sono restia a stare sotto i riflettori, restia a partecipare alle feste. In generale restia alla popolarità. Sono una persona riservata, talvolta anche i miei amici dicono che sono una specie di eremita.

Possiamo dire quindi che per fare l’attrice hai dovuto un po’ forzare la tua natura?

Diciamo che sono due lati di me. Da una parte ho un carattere riservato e timido, è risaputo che divento rossa quando mi vengono fatte delle domande o mi trovo in situazioni che mi mettono un po’ di ansia e per questo mi prendono anche in giro. Dall’altra mi sono scelta un lavoro che mi permette di donarmi al 1000 % e di utilizzare la mia figura per far arrivare la mia arte. Recitare è la mia passione, quello che mi riesce meglio nella vita. Essere personaggio pubblico lo è un po’ meno.

Hai sempre saputo di voler fare l’attrice “da grande”, oppure c’è stato un momento preciso in cui hai detto: “Sì, questa sarà la mia strada nella vita”?

La voglia di recitare c’è sempre stata, io me la ricorda da sempre, anche se può sembrare una frase fatta. Anche da questo punto di vista penso però che emerga la mia particolarità. Non ho seguito, da piccola, alcun corso di teatro, mi vergognavo. Il mio recitare era una cosa che tenevo nascosta, lo facevo per me. Era una sorta di rituale. Guardavo i miei familiari e poi, da sola, davanti allo specchio, riproponevo ciò che vedevo, cercavo di immedesimarmi. Poi è cambiato qualcosa. Sempre più spesso sono stata vista, in casa, e ho capito che se lasciavo la porta aperta e permettevo agli altri di guardare ne venivo gratificata, non sminuita.

@Foto di Bepi Caroli

I primi passi li hai mossi in teatro, ma poi hai avuto modo di lavorare per il cinema e la tv. Quali sono le principali differenze, tecnicamente parlando, tra i tre ambienti? E ce n’è uno che preferisci?

L’amore vero, il primo, non si tradisce mai, e per me questo è il teatro. Quando posso mi cibo di spettacoli e testi, e mi auguro di avere tempo di tornarci, un giorno. Nel corso degli anni, come hai detto, ho scoperto dei modi di recitare diversi ma interessanti, non meno difficoltosi, voglio precisarlo. Non è vero che dopo il teatro recitare in tv sia una passeggiata! Mi ricordo ancora il primo ciak che ho fatto: avevo 50 persone davanti, dovevo guardare un punto dove non c’era neppure la persona con cui, teoricamente, stavo parlando in quella scena molto drammatica. Difficilissimo. In tutti e tre i mondi, comunque, ho avuto modo di sperimentare e questo mi piace.

Chi lavora in teatro racconta di un mondo che arricchisce anche sotto il profilo umano, di colleghi che diventano come una famiglia. Confermi che i rapporti sono duraturi, oppure teatro, tv, poco importa, una volta che si spengono le luci ognuno va per la propria strada?

Sicuramente in teatro si formano rapporti e intese fortissime. La compagnia che avevamo creato dopo l’accademia, ad esempio, era diventata davvero una famiglia, con rapporti che sopravvivono anche adesso, a distanza di anni. Lavori a stretto contatto, ma soprattutto condividi tutto, non solo una recitazione “da set” e le prove di una scena, ma un pianto, una giornata no, un amore che nasce. Io mi ritengo fortunata perché anche nelle produzione televisive dove ho lavorato – con Coliandro, con i Manetti – ho costruito legami veri. Certo, i legami vanno saputi coltivare, e in ogni caso capita anche che ci si perda. D’altra parte è il brutto di questo mestiere: si vivono continue separazioni.

A darti la popolarità è stata la serie tv “L’ispettore Coliandro”, dove interpreti l’agente Buffarini. Al momento possiamo trovarti invece al fianco di Alessio Boni e Sergio Rubini in “La strada di casa”, dove sei la giovane Milena. Quanto c’è di Benedetta in questi personaggi?

Generalmente nei personaggi che vado a interpretare di mio c’è molto poco, perché a me piace costruirli dalla a alla z, dal modo di parlare e camminare ai pensieri e alle passioni. Cerco di dare un’anima che sia solo loro, ai miei personaggi. Poi ovviamente capita di ritrovare qualcosa di se. Ad esempio, in Milena, una ragazza di 20 anni con un rapporto difficile col padre, talvolta mi sono rivista. E magari delle frasi, sul set, mi sono uscite come le avrebbe dette la me ventenne che litigava con il padre perché voleva fare l’attrice.

Ti lasci ispirare dalle persone che incontri, da quello che succede fuori dalla finestra, per la costruzione dei personaggi, quindi?

Ovviamente anche dai registi con cui lavoro, ma sì, io mi considero una ladra, in questo senso rubo tantissimo. Mi ispiro agli amici, ma anche ai libri che leggo, ai film che guardo. Ogni cosa è buona per avere quell’idea da cui partire.

Nella serie “L’ispettore Coliandro – Il ritorno” la Cimatti interpreta il soprintendente Buffarini.

Tornando ai litigi con tuo padre per fare l’attrice, e senza entrare nel personale, come vivono i tuoi la tua professione? Ti chiamano dopo ogni messa in onda da veri fan oppure sono semplici spettatori?

I miei genitori sono fantastici, perché sono i miei primi fan. Mia madre sa prima di me quando uscirà una serie, non so come faccia. Devo ringraziarli perché mi sono stati molto vicini, nonostante le paure. È bello vedere che mio padre oggi mi da molto sostegno, un po’ credo si sia arreso.

Nel 2018 ti vedremo invece in sala in due film. Il primo è “Ricordi?” di Valerio Mieli, dove reciti al fianco di Luca Marinelli. Sensazioni dal set?

Lavorare con Luca Marinelli è stato un onore, perché è una bellissima persona, a livello non solo professionale ma umano. Mi ricordo che ero molto emozionata, prima di girare, anche se non ho un grandissimo personaggio – interpreto la ragazza di Giovanni Ansaldo. Con Marinelli ho interagito relativamente, solo un paio di giorni, ma mi ha lasciato un grande ricordo.

Del film puoi anticiparci qualcosa?

Mieli ha delle doti artistiche importanti. Il film propone la storia di un amore, raccontata attraverso i ricordi. Da questo emergono anche le difficoltà che si incontrano talvolta, nella vita reale, a conciliare caratteri diversi.

Invece “In un giorno la fine” di Daniele Misischia, prodotto dai Manetti Bros., possiamo definirlo un azzardo, dato che si tratta di uno zombie movie, genere relativamente nuovo nel panorama italiano. Credi che il pubblico – piuttosto abitudinario, quando si tratta di cinema – sia pronto? E non temi i commenti negativi e le eventuali critiche?

Con l’avvento di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, secondo me, il panorama cinematografico italiano si sta aprendo ed evolvendo, ed è una cosa che mi piace molto. Il film di Misischia è stata un’esperienza bellissima e divertentissima. Ci siamo messi alla prova in maniera totale, anche con Alessandro Roja, che ha aiutato tanto. Con un budget di un certo tipo e tutte le problematiche connesse credo che sia venuto fuori un prodotto assolutamente diverso. Lo abbiamo presentato alla Festa del cinema di Roma e devo dire che la risposta del pubblico in sala è stata positiva. Il film è piaciuto, perché ok lo zombie movie però c’è anche il timbro dei Manetti e una bella regia caratterizzata. In un cinema dove si vedono quasi sempre le stesse cose, questo è un film coraggioso.

@Foto di Marco Rossi

Da timida, come ci hai detto di essere, com’è stato calcare il red carpet della Festa del cinema di Roma?

Il film in realtà è stato presentato l’ultimo giorno, con un piccolo red carpet davanti alla sala al posto di quello grande ufficiale. Però per me che ero alla prima volta è stato comunque emozionante.

Un giovane regista o sceneggiatore come può attirare la tua attenzione? Detta altrimenti, come scegli i personaggi – e i progetti – a cui prendere parte?

Sicuramente ci deve essere un personaggio femminile credibile, ben sviluppato, non secondario – non inteso in senso di minutaggio ma, appunto, di costruzione. Non necessariamente mi oriento sulle grandi produzioni, capita che mi colpiscano progetti indipendenti, come quello che inizierò a girare in estate come protagonista.

Passiamo subito alla domanda sui progetti futuri, quindi.

Ho bruciato la domanda, mi sa. [ride] Mi sono innamorata di questa sceneggiatura e per fortuna, dopo mesi di provini e di attesa, l’amore è stato ricambiato. Il film si chiama “Atlas”, di Niccolò Castelli, prodotto dalla Imago Film di Lugano. È un film svizzero che sta cercando anche una piccola coproduzione italiana. Si girerà tra la Svizzera e il Marocco, e sto costruendo giorno dopo giorno il mio personaggio, anche attraverso un esercizio fisico importante. Interpreto infatti un’alpinista, una scalatrice. Il film è tratto da una storia vera, ma è il personaggio che mi ha colpita.

Quando iniziano le riprese?

Agosto/settembre.

Quindi diciamo che lo vedremo nei festival nel 2019?

Incrociamo le dita, perché secondo me è davvero un progetto molto bello.

Benedetta Cimatti sul set della serie Rai “La strada di casa”.

Negli ultimi mesi il mondo del cinema, italiano e internazionale, ha fatto parlare di sé per una serie di scandali a fondo sessuale, storie di molestie taciute e poi raccontate e quant’altro. Puoi darci una tua opinione, da attrice e da donna? Che sta succedendo, secondo te? 

Difficile trovare le parole giuste per parlare di quello che sta succedendo. Mi vengono i brividi, sono agghiacciata. Io non posso puntare il dito né schierarmi, ma sono sicuramente dalla parte di queste giovani donne. Perché si fa presto a giudicare, a dire che una se l’è cercata, ma prima di parlare si deve conoscere la storia, il background, la provenienza. E non sottovalutare il ruolo che la paura può aver giocato. Non parlare per paura di pregiudicare la carriera… È una cosa drammatica.

Secondo te questo muro di omertà potrà crollare, oppure è difficile che ci sia un vero ripulisti?

La speranza è che crolli, che sia solo l’inizio per smantellare situazioni violente e ingiuste nei confronti delle donne – perché ahinoi quasi sempre siamo noi a essere prese di mira. Anche se non sono così fiduciosa, più che altro lo spero.

Tra riprese, anteprime stampa, festival, a un attore resta del tempo per avere degli hobby o degli interessi esterni al mondo della recitazione? E se sì, quali sono i tuoi?

Diciamo che è difficile uscire da questo mondo, per me, perché io mi nutro di arte. Non ho neanche la televisione in casa, per dire.

Cosa comune a diverse attrici, questa della televisione, ma curiosa. Allora per le serie come ti regoli? Cioè ti riguardi oppure dopo che hai girato non ci pensi più?

Ho iniziato a riguardarmi, sì, anche se all’inizio era difficile. Mi vergognavo molto – e tutt’ora ho difficoltà a farlo se con me ci sono altri. È una vera tortura. Grazie al pc e a RaiPlay ho colmato i vuoti anche senza tv, comunque.

In un’intervista hai detto che sei “costretta a usare i social” per lavoro. Secondo te, oggi, sono imprescindibili per avere un rapporto con il pubblico? E non è più possibile comunicare soltanto attraverso i film, le serie, gli spettacoli, ma bisogna necessariamente aprirsi a 360°?

Diciamo che ho cambiato un po’ il mio pensiero, che era forse un po’ troppo rigido – io li consideravo deleteri. Mi sono evoluta, da non avere niente adesso ho un profilo Instagram. E devo dire che è bello e gratificante comunicare con il pubblico, avere dei feedback sui miei personaggi e via dicendo. Però credo che rimarrò sempre su questa linea, diciamo professionale. Non credo che mostrerò mai cosa mangio, quando esco, e via dicendo. Secondo me c’è un limite.

Hanno iniziato a riconoscerti per strada?

Sì, succede, e devo dire che è una sensazione particolarissima ma allo stesso tempo piacevole. Fa davvero piacere sentirsi dire certe cose sui personaggi. Ho avuto dei riscontri positivi, anche se ovviamente sono diventata rossa anche lì.

Be’ arrossire è anche un segno di grande umanità, una dimostrazione che c’è ancora Benedetta e non solo Benedetta Cimatti l’attrice.

Assolutamente, ma quella parte di me sono convinta che non cambierà mai. Perché ok il lavoro, ok il successo, ma c’è una mia umanità, una mia profondità di donna e di essere umano che farà sempre parte di me.

Quando ti fermano per strada ti chiamano Benedetta oppure capita che i personaggi si sovrappongo a te?

La Buffarini di Coliandro ha lasciato il segno. Di solito sento: “Buffa”, quindi capisco che stanno chiamando me. Speriamo che succeda anche con gli altri personaggi.

Libro sul comodino?

Ce ne fosse solo uno! Sto rileggendo “Cecità” di José Saramago, e anche “La fattoria degli animali” di George Orwell. Inizio sempre più libri in contemporanea, i miei interessi cambiano e così fanno le mie letture.

Come si vede, e dove, Benedetta Cimatti, tra cinque anni? Su un’isola deserta, a ritirare un Oscar?

L’unica cosa che mi viene da dire è che non mi vedo, spero tra cinque anni di essere ancora felice come sono adesso. Quello che succederà non lo so, e nemmeno mi interessa saperlo. Non sono una che pianifica molto. Spero di poter continuare a fare questo mestiere, ma la cosa più importante è avere la felicità e la serenità.

Prima di lasciarci, c’è un consiglio in particolare che ti sentiresti di dare a chi sogna di fare l’attore nel nostro paese? Per affermarsi, non può assolutamente mancare…?

Io consiglio di studiare, studiare tanto, che poi è quello che ho fatto io. Ho puntato sullo studio, sulla ricerca, sulla formazione di un’identità professionale, piuttosto che sulla fisicità che è quella che oggi sembra invece andare per la maggiore. Spesso mi hanno detto che ho un viso strano, che non sono poi così bella, e di porte in faccia ce ne sono state. Ma questo mi ha fortificata, mi ha aiutata a lavorare su me stessa, sui contenuti e non solo sulla bellezza. E quando sei forte dentro riesci a superare anche i “no” e i momenti difficili. Perché se sei consapevole di te stesso, del tuo talento, dello studio che hai alle spalle farti abbattere è più complicato. Io consiglio anche di perseverare, di insistere, perché questo è un mondo difficile, a volte persino crudele, ci saranno sempre più “no” che “Sì”. Ma poi, quando arrivano questi ultimi, viene ripagato di tutti i sacrifici che hai fatto.

 

Grazie a Benedetta Cimatti per essere stata con noi. E ovviamente in bocca al lupo.

 

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