Sara Zelda: “Ho sempre vissuto lo scrivere come la mia missione sulla terra”

Intervista all'autrice che non si nasconde dietro ai cliché, si rifiuta di scrivere romanzi rosa, omaggia Zelda Fitzgerald con il suo nome

Sara Zelda è nata a Poggibonsi (Siena), ma non ci ha mai vissuto. Dopo essere cresciuta tra la provincia fiorentina e l’hinterland milanese si è infatti trasferita a Monaco di Baviera, dove abita attualmente.

Il suo nome d’arte è un omaggio a Zelda Fitzgerald, scrittrice, pittrice e ballerina, ma non ha la benché minima idea di chi sia l’elfo Zelda, protagonista dell’omonimo videogame, e intende continuare a ignorarlo.

Tra il 2002 e il 2008 ha collaborato con il settimanale Metropoli del Chianti fiorentino, con la rivista online Noluogo e con SettePerUno, sotto lo pseudonimo di Judith Cavalera. Più o meno nello stesso periodo ha curato un antiblog, che si sottraeva programmaticamente a ogni legge dei social e non ha avuto grande fortuna. Si è iscritta tre volte all’università e ha rifiutato un sacco di proposte di lavoro artistico non retribuito.

Sara non ha mai sentito il bisogno di scrivere un romanzo rosa e dichiarare poi che si tratta di un omaggio alle sue autrici preferite del passato, poiché crede fermamente che le sue autrici preferite del passato NON scrivessero romanzi rosa.

Non sa decidersi se i suoi lavori siano più adatti al circuito indipendente o a quello della grande editoria, ma al momento è la grande editoria ad aver deciso per lei.

 

Ciao Sara, è un vero piacere averti qui con noi per parlare dei tuoi libri ma anche delle difficoltà di essere un autore self in Italia e farsi conoscere dal pubblico. Rompiamo il ghiaccio parlando un po’ di te. Come ti descriveresti usando solo poche parole?

Il mio slogan preferito, Sturm und Punk, dice veramente tutto.

Come nasce in te la passione per la scrittura? Hai sempre saputo di voler scrivere libri “da grande” oppure l’idea è maturata con il tempo?

L’attitudine narrativa è qualcosa con cui si nasce, di questo sono convinta. Parafrasando Jack Kerouac, ho sempre vissuto lo scrivere come la mia missione sulla terra.

Insomma, Sara a 6 anni sarebbe voluta diventare…?

Qualsiasi cosa. Il mio orientamento mentale mi induce a considerare le possibilità insite in ogni individuo e in ogni esperienza e non mi è mai piaciuto precludermi niente. Ho sempre fatto in modo di mantenere aperte tutte le porte e di riservarmi il diritto di poter cambiare idea. Ma, poiché la domanda è molto specifica, restringendo il campo ai miei sei anni di età, posso dirti che allora sognavo di essere una ballerina classica, e studiavo per diventarlo. Più o meno nello stesso periodo, una visita scolastica alla base dell’aeronautica militare impresse in me la fascinazione indelebile per gli aerei da guerra e cominciai a immaginarmi nei panni di un pilota militare. L’idea dell’uniforme non si sovrappose mai a quella del tutù: vi si affiancò, in una linea destinata a crescere in misura esponenziale, anno dopo anno. Soltanto la scrittura è riuscita a darmi modo di concentrare tutto quello che in una vita sola non ha spazio. Uno scrittore può essere tutto.

Sulle copertine dei tuoi libri campeggia la firma Sara Zelda. Nome vero o pseudonimo?

Entrambe le cose. Sara, il mio nome, è molto comune, e, poiché il mio campo d’azione principale è la rete, avevo bisogno di un brand che chiunque potesse raggiungere alla prima digitazione e al primo invio. Ho scelto Zelda, in onore di Zelda Fitzgerald, perché è la mia alter ego letteraria. Tra le altre cose, condividiamo anche il giorno del compleanno, a ottant’anni di distanza.

Cronache dalla fine del mondo, Sara Zelda Mazzini, cover

Dopo la raccolta di racconti “Cronache dalla fine del mondo”, ti sei presentata al pubblico in grande stile nel 2014 con un urban fantasy in chiave italiana che unisce mitologia nordica, musica, ritorno alle origini. Come è nata l’idea per “I Dissidenti”?

Dalla vita, così come nasce ogni idea. “I Dissidenti” raccoglie e rielabora circa sei anni della mia esperienza adulta, in cui mi sono unita a un gruppo di persone con le quali credevo di condividere una serie di ideali, primo tra tutti il desiderio di cambiare il mondo, mentre in seguito ho scoperto che l’unica idealista nel gruppo ero io. Anziché narrare i fatti dal punto di vista oggettivo, li ho sviscerati così come li hanno vissuti il mio subconscio e la mia immaginazione.

Nel tuo romanzo, tra presente e passato mitico, può capitare di perdere l’orientamento. Quali riscontri hai ottenuto online? Sono stati più quelli che ti hanno dato del genio visionario o quelli che non hanno capito il messaggio che volevi trasmettere?

Diciamoci le cose come stanno: “I Dissidenti” non è un romanzo adatto a prosperare nel terreno del “web” odierno. Ho creduto erroneamente che lo fosse, quando ancora pensavo che l’auto-pubblicazione rispondesse alla mia visione un po’ romantica e un po’ punk del caro vecchio “Do It yourself” – e invece è tutto un’altra cosa. I lettori cercano storie semplici, d’effetto, narrate in modo diretto, secondo una struttura per così dire tradizionale. Tu che hai letto il mio romanzo d’esordio sai che non è niente di tutto ciò. Ci sono state, è vero, alcune persone che lo hanno apprezzato, che si sono lasciate trasportare dalla storia senza riserve e hanno trovato quel viaggio bellissimo, ma sono state molte di più quelle che lo hanno abbandonato dopo aver letto i primi capitoli, intuendo che non rispondeva alle loro esigenze, in particolar modo perché fino a metà del libro “non succede niente”.

Nel 2015 è stata la volta del romanzo “Nichi arriva con il buio”. Ti sei ispirata ad esperienze reali, magari del tuo vissuto, per scrivere questa storia di forte impatto visivo ed emotivo?

Sì, ho recentemente ammesso che si tratta di una storia in larga parte autobiografica, anche se ero reticente a farlo, giacché il pubblico sembra nutrire una sorta di interesse morboso per i retroscena di un romanzo e invece io credo che dovrebbe apprezzarlo in quanto tale, per quello che ha da dire.

Capita spesso di leggere libri auto-pubblicati scritti in maniera illeggibile, senza alcuna attenzione non solo allo stile ma anche alle regole base di grammatica e sintassi. Quanto nuoce al mondo del self la convinzione, purtroppo molto diffusa, che basti saper mettere due parole in fila per essere uno scrittore?

Mah, questa convinzione purtroppo non nuoce soltanto al mondo del self. Ho perso il conto dei libri pubblicati da grandi editori che includono veri e propri strafalcioni non riconducibili a semplici errori di battitura, per non parlare delle inesattezze e di certe orribili traduzioni. Il vero problema dell’editoria odierna, a tutti i livelli, non sta tanto nell’offerta ampia di autori o aspiranti tali: questa, infatti, è solo una conseguenza della domanda. Il mondo della diffusione culturale in generale si è come inginocchiato alle richieste di un pubblico sempre più svogliato.

Proviamo a sfatare il luogo comune. Quanto lavoro di ricerca, scrittura e soprattutto correzione ed editing in itinere c’è dietro un singolo libro?

Sta alla coscienza del singolo autore o editore stabilirlo. Dietro i miei libri c’è un lavoro di ricerca quanto più esaustivo possibile: se parlo della storia di un ospedale psichiatrico o cerco di ricostruire la vita di un autore, non mi limito a consultare la letteratura a riguardo, ma mi reco personalmente a visitare i luoghi in cui quella storia si è svolta – sulla pagina Facebook dei “Dissidenti” c’è un servizio fotografico che lo conferma. La correzione avviene in itinere, man mano che rielaboro le bozze che (con la sola eccezione di “Nichi”, per ragioni piuttosto ovvie) vengono scritte e riscritte innumerevoli volte. In quanto a editing non sono un’esperta, ma quando la prima bozza è conclusa taglio moltissimo materiale che non è strettamente inerente alla storia, un passaggio che da un lato è necessario, ma dall’altro si porta via ore e ore di lavoro – è un lavoro pure quello. Conosco persone sotto contratto con case editrici a cui l’editore lascia appena un giorno di tempo per editare i propri romanzi e lo trovo pazzesco. Potersi prendere il proprio tempo per rivedere un testo è uno dei pochi vantaggi del self.

Possiamo dire che i tuoi romanzi (scritti benissimo, ci teniamo a sottolinearlo) escono dal circuito dei generi “di moda” in questo periodo – niente romance ed erotici per te, per intenderci. Una scelta ben precisa o tutta colpa dell’ispirazione? E non sei mai stata tentata di forzare un po’ le cose e convertirti, così da diventare più appetibile per qualche grande editore?

Vedi, io ho un’idea piuttosto alta della letteratura: la vedo come una forma di responsabilità nei confronti delle generazioni a venire. Credo che chiunque sia libero di scrivere un libro e pubblicarlo, se vuole, ma credo anche che prima di farlo occorrerebbe mettersi una mano sulla coscienza e domandarsi che fine farà quel libro tra cinquant’anni, se contribuirà a migliorare il mondo oppure no. Ovviamente il mio obiettivo principale è quello di trovare un editore, ma soltanto perché un editore saprebbe fare l’interesse dei miei libri, che in quanto “figli orfani” al momento non riescono a raggiungere che una fetta di pubblico davvero ristretta. Non cerco l’editore per la notorietà di Sara Zelda Mazzini, dunque non ho interesse a piegare i miei scritti alle richieste del grande pubblico (cioè colui che corregge l’orientamento dei grandi editori).

Meglio scrivere un prodotto di qualità e avere pochi lettori fidati, oppure essere l’autrice di un caso letterario, che magari non sarà niente di che, ma porta la fama?

La prima che hai detto.

Insomma andiamo al sodo: quanto paga – se paga – questo tanto decantato self publishing?

Paga a chi ha la fortuna di voler scrivere quello che il grande pubblico richiede. Conosco persone che hanno fatto un percorso bellissimo grazie al self publishing, perché il genere narrativo che hanno scelto di trattare è proprio quello che va per la maggiore, cioè il romanzo rosa o semi-erotico, finanche il cosiddetto young adult. Purtroppo, io non ho mai sentito il desiderio di scrivere niente del genere, perché per me è un tipo di narrativa che, al di là di un intrattenimento momentaneo, non lascia nel lettore nessun sentimento duraturo. Nel mio caso, il self non ha portato a niente. E intendo proprio niente.

Hai all’attivo diverse opere auto-pubblicate. Adesso però sappiamo che hai deciso di cambiare strada e provare a trovare un editore. Cosa ti ha spinto a imboccare questa nuova strada, a varare una versione 2.0 della Sara Zelda Mazzini autrice?

Quello che ti ho detto sopra. Chi legge i miei libri perlopiù ne resta molto colpito, trova una fonte di ispirazione o anche solo un incentivo alla riflessione, ma è proprio riuscire a farli leggere la vera sfida. Dovrei avere a disposizione giornate intere per farmi del marketing e a questo punto non avrei più il tempo per scrivere, che si suppone sia il centro di tutta la questione. Senza contare che sono davvero stufa di vendermi come se fossi un marchio. Io scrivo libri perché è sui quei libri che dovrebbe concentrarsi l’attenzione della gente, non su di me. Altrimenti farei la modella o la presentatrice.

Ti sei anche affidata alle cure di un agente. Si sta rivelando una scelta utile? Ancora nel 2016, con tanto parlare del potere dei social e del web, ci sono porte che solo una persona “del settore”, con contatti e conoscenze, riesce ad aprire?

Se si stia rivelando utile è una domanda interessante, a cui purtroppo non ho una risposta. Mi è stato gentilmente offerto un contratto temporaneo a titolo gratuito e ho accettato, ma nei quattro mesi che sono intercorsi dalla firma del contratto non ho più avuto notizie da parte dell’agenzia. Chi ha più esperienza di me nel settore mi dice che è normale, che devo fidarmi e aspettare. Io mi fido e aspetto, ma non riesco a trovarlo un atteggiamento normale. Sembra che noi autori dobbiamo guardare a ogni servizio che sottoscriviamo come a un enorme favore che ci viene concesso da qualcuno che ha più potere di noi. A volte ci sentiamo veramente gli ultimi degli stronzi.

Quali sono i tuoi obiettivi, artisticamente parlando? Sentiresti di avercela finalmente fatta se…?

Tutto quello che voglio è che i miei libri vengano letti e che la gente ne parli. Per dirne bene o male, non ha importanza, ma che ne parli. Mi fa male che tutto l’impegno e il significato che c’è in ognuno di loro non venga considerato. Per non menzionare il fatto che “I Dissidenti” sarebbe una magnifica serie TV.

Dai tuoi libri abbiamo imparato ad aspettarci grandi sorprese e storie e personaggi non scontati. I progetti a cui stai lavorando al momento si inseriscono ancora in questo filone?

I miei progetti nascono fuori da qualsiasi filone, poiché sono idee e in quanto tali vivono di vita propria, seguendo binari propri. Tutto ciò che posso dirti è che al momento ho idee per almeno sei libri. Tra questi ho dato la precedenza, in modo del tutto casuale, a una biografia romanzata di Emily Brontë, a cui farò di tutto per trovare un editore. Dopodiché ho in mente una storia di fantascienza su un tema che mi sta molto a cuore e che ha bisogno di questo veicolo – immagino che cercherò di iscriverla a un premio di settore. E, forte delle richieste da parte di alcune lettrici, sto anche pensando a un seguito di “Nichi”.

Prima di salutarci, che consigli ti sentiresti di dare a chi sogna di affermarsi nel settore dell’editoria? Se un giovane autore venisse da te per avere una guida, gli diresti che a uno scrittore oggi non può assolutamente mancare… ?

La tenacia, la speranza e la buona volontà. E una bella dose di pelo sullo stomaco.

 

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