Diamo il benvenuto ad Anna Patrucco Becchi su Parole a Colori per parlare del libro “Un ponte di libri”, edito da Sinnos, di cui è curatrice, della sua autrice, Jella Lepman, e della sua straordinaria storia.
Inizio col chiederle il perché di una nuova traduzione italiana di “Un ponte di libri” e di una nuova edizione. In cosa si distingue da quella del 2009 e quali sono stati i passaggi più difficili del lavoro tecnico?
Questa seconda edizione si basa sul testo originale tedesco, mentre la prima su quello inglese. In realtà bisogna sempre tradurre dall’originale per rendere il testo fedelmente. La versione inglese presentava purtroppo alcuni fraintendimenti e inoltre non rendeva appieno la voce di Jella Lepman. Come faccio notare nella mia nota editoriale, lei in questo libro usa molti termini in inglese, il che è una particolarità dello stile di questo testo che dice molto sulla sua personalità e sulla sua biografia. Durante gli anni di esilio la Lepman aveva preso le distanze dalla Germania e anche con i figli aveva deciso di parlare solo inglese. Era poi tornata in Germania, in veste di maggiore dell’esercito americano. Ma, giocando anche sul fatto che il nome del marito – un tedesco cresciuto negli Stati Uniti – era stato anglicizzato, si atteggiava, per così dire, ad americana. E d’altronde diversi tedeschi che la conobbero dopo la guerra pensarono lo fosse davvero.
La nuova edizione è anche arricchita da foto storiche provenienti per lo più dall’archivio della Internationale Jugendbibliothek di Monaco, ma anche dall’archivio privato di famiglia, che permettono ai lettori di immergersi pienamente in quell’epoca. Adesso questa nuova edizione di Sinnos è senza dubbio la più ricca tra quelle esistenti al momento.
In questa nuova edizione hanno grande importanza le note a margine, veri e propri micro-testi esplicativi. Una scelta che è apparsa necessaria sia a te sia all’editore, vero? E com’è stato, lavorarci?
Come prima cosa abbiamo ritradotto il testo, dopodiché inserire le note ci è apparso necessario, per spiegare chi erano i personaggi citati e altri particolari storici o legati alla cultura tedesca, che un lettore medio italiano – ma anche tedesco ormai! – ignora. La ricerca per scrivere questo apparato è stata laboriosa, ma mi ha appassionato, facendomi andare ancora più a fondo nel testo e facendomi scoprire tantissime cose. Il libro è scritto come un romanzo e dà tutto per scontato, ma le note lo rendono a nostro avviso molto più fruibile.
Jella Lepman era prima di tutto una giornalista. Quanto si avverte, secondo lei, la sua professionalità nel libro? E quanto è stato difficile, da curatrice, conservare la sua particolare voce e non snaturarla?
Quando si traduce bisogna farsi semplicemente guidare dalla “voce del testo” – che è anche il titolo di un bellissimo saggio sulla traduzione di Franca Cavagnoli – e seguirla il più possibile. Io spero di essere riuscita a rendere lo stile elegante e vivace di Jella Lepman, che rivela indubbiamente la sua professione di giornalista.
Perdere almeno in parte l’originalità del narratore è un pericolo che si corre sempre, secondo lei, quando si traduce una biografia da una lingua a un’altra? Oppure ci sono dei “trucchi del mestiere” per ridurre il rischio al minimo? E in questo caso specifico cosa è stato fatto?
Come detto, l’importante per me è cercare di essere fedeli al testo e allo stesso tempo renderlo in un italiano bello e scorrevole. Ma questa è la sfida di qualsiasi traduzione.
Un ponte di libri è il testamento spirituale della Lepman, come sottolinea Christiane Raabe, direttrice della Internationale Jugendbibliothek, nell’introduzione al libro, un racconto ricco di spunti e di passaggi divertenti, ma anche una magnifica costruzione narrativa. Difficile non pensare a come l’autrice abbia racchiuso la sua interra avventura all’interno di due viaggi aerei, il primo a ridosso della fine della Seconda guerra mondiale, il secondo nel 1957 tornando da un viaggio in Medio Oriente. Un saggio che può essere davvero letto come un romanzo, secondo lei? E pensa che fosse nelle intenzioni di Jella Lepman renderlo così, mi scusi il termine, “narrativo” e accattivante per i lettori?
Nella mia nota editoriale ho fatto notare che questa avventura di Jella Lepman può essere letta davvero come un romanzo, anche se presenta delle cadute, delle digressioni inutili e degli affastellamenti di notizie. Credo tuttavia che la vivacità della scrittura della Lepman rimedi a tutte queste mancanze. Chiunque legge il libro, come scrive la dottoressa Raabe, ne rimane affascinato e non lo dimentica più. E ovviamente Jella Lepman contava su questo.
Parlando per un attimo del lavoro di Jella Lepman, dei suoi progetti e dei suoi successi, e soprattutto della sua eredità, come pensa che considererebbe oggi la Lepman la “sua” creatura? La biblioteca è stata davvero snaturata, come lei temeva, oppure qualcosa della missione originaria si è conservato?
Quando Jella Lepman ha fondato la biblioteca, questa era unica in Germania e in generale non esistevano biblioteche per ragazzi a scaffale libero e che offrissero nei loro locali attività varie. Poi, anche grazie alla sua attività pionieristica, a partire dalla fine degli anni Cinquanta le cose hanno iniziato a cambiare, e la funzione della IJB non poteva rimanere la stessa. Il successore di Jella Lepman, Walter Scherf, decise di puntare più sul significato scientifico del fondo bibliotecario e di rendere la biblioteca anzitutto un centro per studiosi. Questo non era assolutamente nelle intenzioni della Lepman, ma Scherf ha avuto un’intuizione giusta. Ora la IJB è un luogo dove si creano legami tra cultori della letteratura per ragazzi di tutto il mondo. I ponti quindi si continuano a creare, perché queste persone fungono da moltiplicatrici portando avanti progetti di promozione della lettura, traducendo libri e invitando autori stranieri nei loro paesi.
Ma la biblioteca mantiene comunque una sezione aperta ai bambini e ai ragazzi e continua a offrire attività rivolte a loro: mostre, incontri con autori, ogni due anni uno straordinario festival internazionale di letteratura, il White Ravens Festival. Anche il cambio di sede dal centro di Monaco alla verde periferia di Obermenzing ha contribuito in parte all sua trasformazione. Ora la biblioteca si trova in un luogo da fiaba, un castello immerso nel verde con vicino un laghetto in cui nuotano cigni, ma purtroppo, come detto, lontano dal centro. Quindi l’afflusso di bambini è minore e soprattutto si tratta di bambini della zona. Molti bambini stranieri vivono in centro e hanno difficoltà a frequentare la biblioteca con continuità. Di sicuro la biblioteca non è più quella che era ai tempi di Jella Lepman, ma come direbbe Mercedes Sosa “todo cambia”, è nella natura delle cose. Gli ideali di Jella Lepman vengono in ogni caso sempre coltivati e portati avanti.
Nel libro compare una lunghissima serie di personaggi storici che, in un modo o nell’altro, hanno giocato un ruolo importante nella storia della Lepman e nella realizzazione dei suoi progetti. Sorprende, e forse non dovrebbe, che tanti di questi siano donne – penso prima di tutto ad Eleonor Roosevelt. “Un ponte di libri” può anche essere letto come una storia di ricostruzione al femminile, secondo lei? Una storia da affiancare a quelle tradizionali, che molto spesso vengono insegnate a scuola, dove sono soprattutto gli uomini ad essere protagonisti?
Effettivamente lavorando alle note mi sono resa conto che il libro è popolato da moltissime donne straordinarie, che hanno avuto delle biografie per certi versi simili a quella di Jella Lepman e che in quell’epoca condividevano con lei gli stessi ideali e obiettivi. Spero che le mie note di approfondimento facciano conoscere anche queste altre interessanti personalità femminili che hanno affiancato la Lepman sulla sua strada.
Prima di lasciarci, quale pensa che possa essere il lascito di Jella Lepman ai giovani di oggi, ma anche agli addetti ai lavori del mondo dell’editoria e ai grandi del mondo? Cosa può ancora insegnarci la sua storia e perché Un ponte di libri merita di essere letto e riscoperto, insieme alla storia della sua autrice?
C’è una frase molto celebre di Eleanor Roosevelt che mi piace ricordare qui: “The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams” (Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni). Be’ credo che questo sia anche l’insegnamento che dobbiamo trarre dalla lezione di Jella Lepman. Anche nei periodi più bui dobbiamo impegnarci al massimo per cercare di realizzare l’irrealizzabile e per farlo non servono grandi mezzi, ma anzitutto passione, forza di volontà e ideali saldi. Insomma, se si vuole fermamente qualcosa, lo si raggiunge. E poi naturalmente l’idea di creare dei ponti tra i popoli attraverso i libri è meravigliosa e continua ad essere attuale anche nella nostra epoca digitale.