Intervista a Giuliana Facchini, autrice di libri per bambini e ragazzi

Il suo ultimo romanzo, "La figlia dell’assassina”, che parla di famiglia e adolescenza è edito da Sinnos

Nata e cresciuta a Roma, oggi Giuliana Facchini vive con la sua famiglia vicino al lago di Garda. Da sempre ama narrare ai suoi figli storie avventurose, storie che con una scrittura delicata e intensa si sono poi trasformate in romanzi per ragazzi.

Ha all’attivo diverse pubblicazioni, tra cui “Se la tua colpa è di essere bella” (Feltrinelli UP), “Io e te sull’isola che non c’è” (Coccole books), “Un’estate da cani” (Notes), “Il mio domani arriva di corsa” (EL edizioni), “Invisibile” (Edizioni San Paolo).

A novembre è uscito per Sinnos il suo ultimo romanzo, La figlia dell’assassina, una storia cha parla di famiglia, adolescenza, delle difficoltà di lasciarsi alle spalle il passato e ricominciare. Ne abbiamo parlato con lei nella nostra intervista.

 

Benvenuto su Parole a Colori, Giuliana. Per cominciare è impossibile non chiedertelo: per la backstory di Eva, la mamma della protagonista del libro, Rachele, in carcere per omicidio, ti sei ispirata a un fatto di cronaca in particolare?

No, nessuno in particolare, anche se i riferimenti nella vita reale non mancano. È solo un accadimento forte e determinante per la vita di Rachele e della sua famiglia su cui non mi interessa indagare troppo. Non estrapolo un fatto dalla cronaca, ma vorrei che si percepisse l’efferatezza di quell’atto e la sua influenza sulla vita di determinate persone.

Nei libri ma anche nella vita reale si tende a interessarsi maggiormente della figura della vittima, eventualmente dei suoi familiari, e dell’assassino. La famiglia di quest’ultimo resta molto spesso nell’ombra. Perché tu hai deciso di concentrarti proprio su di loro? Su Rachele, quattordicenne appassionata lettrice, sul piccolo Joshua, sul padre dei ragazzi, Gerard?

Credo che vittima o assassino siano entrambi terreno di curiosità morbosa. La mia storia segue Rachele e quel senso di oppressione e isolamento che può colpire chiunque in circostanze drammatiche. Rachele finisce al centro dell’attenzione mediatica suo malgrado con una colpa non sua ma che pare macchiarla ugualmente. Joshua e Gerald sono parte della vita di Rachele e non si potrebbe mai raccontare di lei senza parlare anche di loro. I personaggi si completano sempre a vicenda.

La madre Eva, invece, finisce per restare piuttosto in disparte, presente più come assenza che come presenza, e anche delle sue ragioni percepiamo solo vaghi eco. Una scelta ben precisa? Come ti sei immaginata tu questa donna? Vittima di un raptus? Assassina impenitente?

Sicuramente non è stata una scelta meditata come quella di seguire Rachele. Immagino Eva come la immagina la figlia: una persona che ha commesso un gesto terribile in preda alla rabbia; non che tutti in preda alla rabbia uccidano, ma a lei è successo. Eva ne accetta le conseguenze con un dolore freddo; come se avesse sempre saputo che la gioia che le ha donato la sua famiglia sarebbe stata breve e intensa, non duratura. Eva e Rachele si confrontano durante tutto il romanzo, non credo si lascino mai: c’è il rifiuto, ci sono i ricordi, c’è la rivalsa di una figlia che trova in ultimo la propria strada e cresce con l’assenza di sua una madre.

La figlia dell’assassina” parla di famiglia ma anche del mondo dei giovani – delle difficoltà di crescere in una piccola comunità, della voglia di rendersi visibili agli occhi del mondo anche attraverso scelte discutibili, del dilagare dei social e delle conseguenze che questi hanno nei rapporti interpersonali e nella vita di tutti i giorni. Quanto è stato difficile, da adulta, mettersi nell’ottica di personaggi adolescenti? È stato più divertente o sfiancante?

Io credo che ogni scrittore abbia il suo lettore ideale, il mio è un adolescente. Parlare con i giovani, leggere di loro, scrivere di loro mi affascina. Non voglio mettermi dal loro punto di vista, però. Sarebbe impossibile cercare una sorta di immedesimazione, è più corretto restare esterna, descrivere, usare le mie emozioni e le mie capacità per raccontare dei ragazzi che potrebbero esistere davvero, essere amici reali dei potenziali lettori. Non c’è nulla di sfibrante o divertente, ma se la scrittura è fatica, è anche gratificante riuscire a raccontare una storia che si sente in qualche modo appartenerci e in cui si crede.

Quello che del tuo libro mi ha colpita è stato soprattutto il fatto che qui tu non esprimi alcun giudizio di merito ma ti limiti a raccontare una storia. E alla fine il lettore, adulto, si trova a riflettere che forse nonostante i luoghi comuni che oggi dilagano tra gli adolescenti di ieri e di oggi non è cambiato poi molto… Era questa la tua intenzione fin dall’inizio? Spingere alla riflessione e avvicinare due mondi all’apparenza tanto diversi come quello dei “grandi” e quello dei giovani?

Sono sincera, non è facile rispondere a queste domande. Forse però questa è la meno difficile. Io non organizzo mai il mio lavoro a tavolino. Le storie sono frutto di un flusso creativo che prende vita mentre scrivo, ma il confronto tra adulti e adolescenti mi riguarda, come riguarda molti di noi. Le domande che nascono in questa storia sono le mie domande, quelle che pongo a me stessa e non ci sono risposte. Il principio imprescindibile di una buona storia è di non mettere nella testa del lettore risposte o soluzioni preconfezionate. Provo a usare le parole per creare le stesse condizioni di visione della realtà che appaiono ai miei occhi, il resto non devo essere io a spiegarlo. Il libro è del lettore, non di chi lo scrive. Per questo per me è difficile parlare della mia storia, dare la mia versione dei fatti è un po’ tradire il mio romanzo.

L’Italia, lo dicono i dati, è un Paese di non lettori. Ultimamente però qualcosa inizia a muoversi, proprio tra i giovani. Merito di…? Editori lungimiranti, autori con qualcosa da dire, storie vicine al pubblico a cui si rivolgono?

Non mi piace l’etichetta di editoria per ragazzi, ma esiste e nel nostro Paese l’editoria per ragazzi è poco considerata. Invece è ricca di scrittori, editori, librai, bibliotecari di grandissimo livello, onesti con i ragazzi e appassionati. I ragazzi non sono un pubblico facile e lo sappiamo tutti noi che per loro lavoriamo. Loro sanno riconoscere un buon romanzo perché sono immediati e sinceri, difficile imbrogliare la loro capacità d’immaginazione o la loro logica di lettori. Le buone storie da sempre sanno farsi ascoltare, noi dell’editoria per ragazzi siamo dei facilitatori appassionati. Se esistessero biblioteche scolastiche aggiornate e ore a scuola per la lettura libera, tutto sarebbe più immediato: quando arrivano i libri giusti tra le mani dei ragazzi non è difficile creare giovani lettori. La lettura è un’abilità e una volta appresa, resta.

E tu come ti senti, a rivolgerti a un pubblico giovane? È più il senso di responsabilità nello stare, potenzialmente, formando gli adulti di domani oppure il piacere nel sapere che le tue storie vengono apprezzate e interiorizzate?

La mia grande responsabilità verso i ragazzi è di essere onesta, non edulcorare, non educare, non imbrogliare, accettare che io sono diversa da loro perché adulta e quando scrivo essere sempre pronta a mettermi da parte o in gioco. Scrivere e leggere sono passioni oltre che un mestiere, non so se con le mie storie in qualche modo aiuto i ragazzi a crescere o a vivere la loro adolescenza, i miei sono solo romanzi. Solo i buoni romanzi resistono all’usura del tempo e quindi io non saprò mai se i miei sono davvero buoni!

Grazie a Giuliana Facchini per essere stata con noi.

 

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