Uno degli ospiti più attesi della Festa del cinema di Roma, Sigourney Weaver calca il red carpet incantando il pubblico. Firma autografi, scatta fotografie e, prima di entrare in sala, saluta un gruppo di cosplayers vestiti da Ghostbusters.
Questo è anche il film con cui si apre l’Incontro ravvicinato mediato da Alessandro Monda e le domande dei giornalisti per l’attrice americana.
Secondo te perché le commedie vengono raramente prese in considerazione, quando si tratta di assegnazione di premi internazionali?
È un mistero anche per me che amo le commedie. Forse è il desiderio dell’industria di creare e quindi premiare qualcosa di più complicato. Nella mia carriera è più difficile trovare una commedia ben scritta e un regista che sappia come interpretarla. È sottovalutata – apprezzata ma sottovalutata. Nonostante il grande lavoro che c’è dietro.
L’Academy ha creato un premio per il miglior film popolare. Che ne pensi?
Sono stata sorpresa. Credo che portare tutti agli Oscar, ad esempio i film della Marvel, sia bello. Ma il problema è il termine popolare, che è strano. Meglio premiare quelli d’azione allora.
Parlando di recitazione, preferisci improvvisare o lavorare con registi più decisi, che sono chiari nello spiegare cosa vogliono?
Dipende dal regista. Certi ti dicono esattamente quello che vogliono, ma in generale io non amo questo approccio. Se invece capisco che c’è coscienza e una precisa idea l’abbraccio. Io preferisco improvvisare e poi essere diretta e poi di nuovo improvvisare. Ho lavorato ad esempio con Alan Rickman, che aveva una tecnica del genere.
Hai citato Rickman. C’è qualcosa di particolare nel modo in cui un attore passa alla regia?
Credo di sì. Quando incontro un regista bravo solitamente ha preso lezioni di recitazione. Adoro essere diretta ma non saprei da dove iniziare nella regia. Anche se so tutto del linguaggio tecnico. Con James Cameron non ho di questi problemi, e abbiamo appena finito di girare “Avatar 2” e “Avatar 3”.
Si vede subito quando un attore viene dall’esperienza teatrale, come te?
Sì credo ci sia una bella differenza da quelli che iniziano dal cinema. Ci sentiamo più fiduciosi, qualsiasi sia l’ambito lavorativo. Venire dal teatro, come me, dà una marcia in più.
Ti capita spesso di interpretare ruoli di fantascienza, oltre a quelli di donne forti e talvolta cattive. Ti sei chiesta perché viene scelta per questo tipo di parte?
Mi chiedono spesso questa cosa. Io amo lavorare con questi ruoli. Con James Cameron sento di esplorare il lato umano e della natura, del rapporto dell’uomo con essa. Non sento che “Ghostbusters”, invece, sia fantascienza appieno. Sono film che ci fanno chiedere chi siamo e che rapporto abbiamo con questo pianeta. Credo dobbiamo rispettare di più questo genere, proprio per questa motivazione.
Ti aspettavi il grande successo che ha ottenuto “Avatar”?
No, proprio perché era principalmente una ricerca sull’animo umano. Il film si poneva la domanda se la fama e la ricerca di successo potessero prevalere sulla coscienza. Sono temi universali e credo che in molti ci si siano riconosciuti.
Secondo una voce che gira ad Hollywood, George Lucas dice spesso “più veloce e un po’ più forte”. James Cameron è un regista dello stesso tipo?
Be’ no, lui è davvero partecipe del processo. È cosciente del ruolo dei personaggi ed è fantastico lavorare con lui. Ogni giorno inizia con: “Questo non hanno mai provato a farlo prima ma…”.
Hai lavorato con Roman Polanski sul set di “La morte e la fanciulla”. Com’è stato?
Quando leggemmo la prima stesura lui interpretava tutte le parti, il che è strano almeno per l’America. Il mio ruolo lo interpretò molto duramente e questo mi aprì gli occhi su come dovevo recitare. Girammo tutto il film cronologicamente, con metodo. Unico regista che non prepara storyboards, immagina cosa può usare con il girato e basta. La sceneggiatura era già molto potente ma con questo metodo fu facile rendere giustizia al mio personaggio, seppur molto potente anch’esso.
Parliamo invece di un tuo altro grande successo, “Alien”. Ricordi come Ridley Scott ti presentò il film?
Questo era praticamente il mio primo film e dovetti fare molti screen test. Aveva allestito il set per farmi provare, dato che ero sconosciuta. Anche per lui era una prima prova. Per spiegarmi la scena che non avevo letto, mi sbatté al muro come nella vera scena e io reagii con un imbarazzato:”Ah ok”, ma poi lo feci.
Quanto è difficile recitare con nemici che non esistono, come alieni e fantasmi?
Con “Alien” non ho dovuto farlo. C’era un artista che sembrava venisse da un altro pianeta anche lui, indossava la tuta ed era terrificante. Ho sempre avuto bisogno di ruoli fisici per essere convinta di quello che stavo facendo. Nell’ultima scena non sapevo nemmeno chi ci fosse dietro la maschera. È più facile dare all’attore qualcosa di fisico a cui reagire.
C’è un ruolo che volevi interpretare ma che non hai ottenuto?
Meryl Streep ha svolto un fantastico lavoro ma volevo interpretare Julia Child nel film “Julie & Julia”. Avrei almeno voluto fare l’audizione.
Invece i registi con cui ti piacerebbe lavorare in futuro?
Guadagnino, Scorsese… che so che è qui stasera. Poi gli parlerò.
Hai scelto “I segreti di Brockback mountain” come film che ami in modo particolare. Perché?
[Piangendo] Credo sia una delle più belle storie d’amore di sempre. Semplicemente per questo.
È difficile recitare in scene d’amore?
Dipende da chi è il tuo partner. Ma mio marito è in sala, devo contenermi. [Ride]
Martin Scorsese ha detto di essere un po’ preoccupato del cambiamento che sta avvenendo ad Hollywood. Che ne pensi tu di queste montagne russe politiche e di genere di film realizzati?
Credo che Hollywood senta cosa vuole il pubblico, e per questo continui a produrre le stesse cose per loro. Non capisce forse che il pubblico ha bisogno di arte e di storie più sofisticate. Dobbiamo preoccuparci delle nostre anime.