“FIF”: Famiglie sull’orlo di una crisi di nervi nello spettacolo di Anna Cianca

Al Teatro Le Salette di Roma l'adattamento della farsa scritta dal drammaturgo Alan Ayckbourn

di Luciaconcetta Vincelli

 

Uno spettacolo di Anna Cianca. Con Nunzia Fabrizi, Giovanni Sansonetti, Cristina Finocchi, Alessia Filiberti, Piergiorgio La Rosa, Antonio Gallelli, Marcello Calandrini, Giulia Sanna.

 

Aleggia un’aria frizzante, forse troppo, al Teatro Le Salette di Roma, Ci sono molti bambini e genitori, forse troppi, venuti a guardarsi in scena nello spettacolo “FiF”, ovvero “Festa in Famiglia”, una farsa scritta negli anni ’70 da Ayckbourn, scelta dalla regista Anna Cianca per le sue quattro serate.

D’accordo, è in atto “un’overdose di famiglia”, come chiarisce subito il personaggio di Deirdre, una delle tre figlie di Edward e Emma, coniugi in un amore pericolante, eppure giunti al trentacinquesimo anniversario di matrimonio.

Proprio per festeggiare questa ricorrenza si decide di dare inizio alla festa, a suon di accuse, rancori e nevrosi tra genitori, figlie e rispettivi compagni, naturalmente incompatibili.

Il tutto innescato da una lettera di avvertimento da parte dei vicini di casa che desta preoccupazione nelle giovani coppie: cosa succede nel rapporto turbolento di mamma e papà? O, meglio, come si ripercuote tutto ciò sul loro ruolo in famiglia e nelle singole vicende amorose?

In realtà, si tratta di una massima che il capo famiglia ripete spesso: “La persona con la quale decidi di dividere la tua vita, inevitabilmente, si rivela la peggiore scelta possibile”. A partire dall’ideologia paterna, allora, ci si domanda se possa esistere tranquillità nei rapporti, o solo un’allegra instabilità che, paradossalmente, possa rafforzarli.

E l’interrogativo è posto sulla famiglia, ma soprattutto sull’amore, sulla sua natura e sulle sue sfumature, che si palesano nei diversi personaggi. Con ponderanti tratti stilistici della regia, la riflessione approfondisce i singoli caratteri.

In scena, sono i colori a partecipare all’illustrazione, come descrizione non pronunciata, complementare alla sceneggiatura.

Colpisce il nero di Deirdre, per un personaggio che sembra essere dipinta dalla sofferenza dell’infanzia, testimoniata ora, nascostamente, nei gesti più ribelli, ma forse più allegri e affettuosi della famiglia. Il suo partner James non può che vestirsi di giallo, indice di una sottile gelosia inespressa per gli oscuri amanti di lei.

Allo stesso modo, per contrasto, il rosa suggerisce che Jenny sia una figlia non cresciuta, una madre e una moglie eccessivamente apprensiva, mentre il blu del marito Oliver sottolinea la sua calma distaccata dagli avvenimenti che lo circondano.

All’estremo opposto, l’arancione per la costante agitazione di David svanisce in una coppia in cui domina il rosso di Polly, una donna sicura di sé, spietata a volte. È proprio lei ad arrendersi di fronte a tale molteplicità e ad ammettere: “ci sono famiglie che non sono in grado di crescere i figli”. Ma in questo spettacolo vi sono diverse famiglie coinvolte. Quella che funziona meglio?

Sicuramente, è il nucleo pulsante della compagnia teatrale, per gran parte non professionista, straordinariamente tagliente e vicina, a convincere maggiormente. Si nota una tangibile sinergia tra consigli di regia (rafforzata dall’aiuto Antonello Toti) e capacità attoriali approfondite non solo in un testo impegnativo, ma anche in ritmi serrati e in impegnati studi del gesto, in un’ottica straniante e sempre analiticamente ironica.

Grazie al contributo di queste varie famiglie, la convinzione del drammaturgo inglese è stata rispettata, ma con un tocco in più: l’incapacità di vivere insieme deve scontrarsi con l’inevitabile legame, inconscio, che stringe tutti, fino a far male a volte, in un nodo teneramente indissolubile.

Nonostante si stia stretti in famiglia, si teme l’aria eccessivamente rarefatta e ci si rifugia sempre nella domanda piacevolmente classica: “Mamma, papà, dove siete?”.

E non vi è soluzione, nemmeno nell’aria frizzante dell’ultimo spettacolo. Nessuna conclusione, neanche fuori dal teatro, sotto le luci serali di San Pietro, dove, proprio quando ci apprestiamo a considerare la stanchezza di questi quattro giorni di scena, l’attrice Alessia Filiberti anticipa: “È l’ultima serata… peccato! Abbiamo lavorato tanto su quest’opera e ci piacerebbe continuare a rappresentarla”.

D’altronde, esattamente come dopo una festa in famiglia, siamo tutti sbronzi ed esausti, certo, ma pronti per il prossimo entusiasmante appuntamento.

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