“Asimmetria”: Lisa Halliday e la nuova forma del romanzo contemporaneo

Due storie asimmetriche, dagli esiti imprevedibili, ambientate tra Stati Uniti, Regno Unito, Iraq

La scrittrice Lisa Halliday, 41 anni

Tutto molto bello ma… dov’è il resto del libro?

Non mi considero una lettrice sempliciotta – anche se non mi vergogno di ammettere che mi piacciono i generi definiti “commerciali”, come i gialli e talvolta i chick lit, e non sempre capisco al volo la letteratura “alta” – ma alla fine di “Asimmetria” di Lisa Halliday, edito da Feltrinelli nella traduzione di Federica Aceto, la prima sensazione che ho provato è stata smarrimento, come se al puzzle mancasse un tassello fondamentale.

Allo smarrimento è subentrato il senso di perdita, che spesso mi capita di provare quando finisco un bel libro, un libro al cui stile mi sono affezionata e che mi dispiace mettere da parte – e non si può non ammettere che la Halliday ci sappia fare, come narratrice.

A queste due sensazioni è seguita l’irritazione, forte, che ancora perdura, perché se tanto mi da tanto questo libro è stato pensato proprio così, per lasciare le sue due storie in sospeso e non spiegare proprio un bel niente, e quindi cosa ne è stato dell’amore asimmetrico tra la 25enne Alice e l’ultra sessantenne Premio Pulitzer Ezra, a New York, e del fratello di Amar, rapito in Iraq, non lo sapremo mai.

Ora devo ammetterlo – questa recensione, lo avrete capito, è nel segno della più totale sincerità – a me i libri che non finiscono in generale non piacciono. Non dico di non saper apprezzare un bel finale aperto, quando ne incontro uno, ma personalmente penso che ci sia finale aperto e finale aperto.

Quello de “Il figlio” di Philipp Meyer (non lo avete ancora letto? Io l’ho fatto, con anni di colpevole ritardo sull’acquisto, e me ne sono innamorata, ma ne riparleremo più avanti nel mese di settembre) è tutto sommato un finale aperto, ma non lascia con l’amaro in bocca. Se mai con il solo senso di perdita, perché quella storia si vorrebbe non finisse mai.

Ma il finale di “Asimmetria”… è troppo, almeno per i miei gusti! E finisce per condizionare l’impressione generale sul libro – che fino all’ultima pagina era molto buona -, le sensazioni che questo ci lascia.

Certo il libro da molto da pensare. In ordine sparso: sulla natura delle relazioni amorose (si può essere felici, quando dal partner ci dividono decine di anni? Non si finisce per essere più infermieri che amanti? È giusto sacrificare alcune tappe della propria vita per qualcuno che le ha già vissute?); sulla famiglia (Ci capiscono? Ci conoscono? Ci vogliono a loro immagine e somiglianza?); sull’ideologia americana e occidentale, sulle guerre nuove e vecchie, sul terrorismo, sull’immigrazione (troppe domande, per metterle per scritto).

Che poi, tornando alla forma, magari “Simmetria” è proprio il prototipo del nuovo romanzo contemporaneo a cui dovremo prima o dopo abituarci, un romanzo che supera la forma classica per proporre qualcosa di diverso. Di quel continuum che è la vita lo scrittore non fa altro che isolare una piccola parte, un ritaglio, che per sua stessa natura non ha inizio né fine. È solo un’istantanea, unaparte di una storia più grande. Per questo, sperare di sapere “come va a finire” è insensato. Qui non c’è proprio niente che va “a finire”. 

 

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