“Westworld”: umani e androidi alla ricerca di una nuova dimensione

Nel mid season della seconda stagione si intravedono potenzialità di ampliamento e qualche limite

Jonathan Nolan e Lisa Joy, con “Westworld”, hanno creato uno dei prodotti più interessanti del panorama televisivo attuale. Partendo da quest’affermazione è scontato aggiungere quanta attesa ci fosse per la seconda stagione della serie, in onda da fine aprile, che prometteva di ampliare il mondo conosciuto, introducendo ambientazioni e dinamiche.

Arrivati alla quinta puntata, possiamo ritenerci soddisfatti dal lavoro svolto finora sui personaggi, che si trovano adesso in una situazione di estrema difficoltà, in un parco non più retto da situazioni e storie predefinite ma in continua evoluzione.

Il parco dove tutto era possibile è diventato instabile, fuori controllo, privo com’è di una guida e di un senso dettato dall’alto. L’uomo non si trova più nella sala di comando a dettare le regole del gioco e le storyline. Gli androidi sono liberi di agire, cercano di trovare la propria voce, la propria storia, rivelando una natura più interessante e complessa rispetto al passato.

Nelle prime cinque puntate la storia è andata avanti in modo lineare, senza grandi picchi visivi. La serie resta di ottima fattura, ma altalenante: ad alcune scene un po’ scialbe se ne accostano altre notevoli – come il rapporto tra Teddy e Dolores, simbolo di una libertà che entrambi sperano di aver trovato.

Nonostante qualche caduta di stile sia nella sceneggiatura che nella messa in scena, il proliferare degli archi narrativi, che vengono lasciati immaginare qua e là, potrebbero far dimenticare i difetti ampliando il respiro della serie.

 

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