“Una storia senza nome”: quando il cinema reinventa la realtà

Il film di Roberto Andò unisce finzione e realtà e affronta il tema della metacinematografia con ironia

Un film di Roberto Andò. Con Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri, Laura Morante, Jerzy Skolimowski, Antonio Catania. Commedia, 110′. Italia, Francia 2018

Valeria Tramonti (Ramazzotti) è la timida segretaria del produttore cinematografico Vitelli (Catania), vive ancora a pochi passi dalla madre (Morante) ed è innamorata dello sceneggiatore Pes (Gassmann), per il quale scrive, non accreditata, i soggetti di cui poi lui si prende il merito. A travolgere la sua riservata esistenza è l’incontro con Rak, un anziano sconosciuto (Carpentieri), personaggio misterioso e informatissimo, che le offre una storia irresistibile da trasformare in film, a patto che (anche stavolta) non sia lei a comparirne come autrice. La storia è legata al furto della “Natività”, tela di Caravaggio sottratta dalla mafia nel 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e mai ritrovata e che la mafia di oggi non ha nessun interesse a divulgare. Peccato che tra i finanziatori del film ci sia Spatafora (Bruno), affiliato a Cosa nostra.

 

Al suo sesto lungometraggio, Roberto Andò ritorna nella sua amata Palermo per girare “Una storia senza nome”, commedia noir con protagonista Valeria (Ramazzotti), ghostwriter di un famoso sceneggiatore (Gassmann), che viene contatta da uno sconosciuto con un insolito, e pericoloso, regalo: il possibile spunto per la sceneggiatura di un film.

Mescolando finzione e realtà con una narrazione giocata su due diversi livelli e passando dal colore all’artistico bianco e nero, per le sequenze film-dentro-un-film, “Una storia senza nome” utilizza toni tragicomici per rispondere con leggerezza a domande universali: ci sono dei limiti che la creatività deve porsi? Qual è il potere delle storie, raccontare la verità o utilizzare la finzione per dire cose reali?

Forse, il problema principale del film è che non trova mai il suo punto focale. Andò, ​​sceneggiatore insieme ad Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti, sembra troppo impegnato a mantenere i diversi pezzi del puzzle su più livelli per fermarsi un momento e chiedersi cosa voglia davvero dire e a quale pubblico voglia rivolgersi.

“Una storia senza nome” trova una piccola ancora di salvezza nel suo approccio ironico alla materia metacinematografica trattata, fatto che lo distingue da altre pellicole simili rendendolo a tratti godibile anche se mai particolarmente memorabile.

Il film finisce per perdersi nei numerosi spunti interessanti che mette in campo, senza però riuscire a svilupparli fino in fondo.

 

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