di Barbara Pastorelli
Noi abbiamo molta stima di Pratolini come di narratore-poeta; ma è egli poeta del suo quartiere, della via di casa sua, popolata dei sogni e delle tenerezze di chi ha vissuto in essa molto intimamente. In questo romanzo invece c’è un cambiamento di rotta; è un romanzo che vuol essere una didascalia sui nostri tempi, vorrebbe cioè presentare un protagonista, di cui parlano spesso i giornali quotidiani, che oscilla tra il criminale e l’eroe, ma più pende al criminale che all’eroe […] Si tratta d’una cronaca, e di una cronaca nera, ma non della cronaca con la C maiuscola, alla quale il Pratolini ci aveva gradevolmente abituato.
[Luigi Russo, Belfagor, 31 luglio 1949]
Esordiva così il critico letterario Luigi Russo nel 1949 all’interno della rivista letteraria “Belfagor” parlando di “Un eroe del nostro tempo” di Vasco Pratolini, romanzo che, rispetto alle altre opere dell’autore, si distacca dalla vita popolare fiorentina e affronta una tematica forte come quella del fascismo.
Il protagonista è un personaggio negativo, Sandrino, un sedicenne fascista, violento e rozzo. Cresciuto troppo in fretta dopo la morte del padre, caduto in guerra, nel ragazzo si sviluppa un carattere autoritario, duro e con i suoi atteggiamenti prepotenti, a volte delinquenziali, susciterà l’interesse di Virginia, vedova trentenne di un ex repubblichino, costretta a coabitare in un appartamento di Firenze con altre due famiglie, i giovani sposi comunisti Faliero, Bruna, Sandrino e la madre. Tra i due inizierà una relazione fatta di passione e violenza che porterà la donna, succube del carattere forte del giovane, ad annullare se stessa per affidarsi completamente al suo innamorato.
Sullo sfondo di una Firenze dilaniata dalla guerra e incapace di rialzarsi e curare le ferite, si consumano i fatti tragici e drammatici raccontati con enfasi e trasporto da Pratolini che, per la prima volta, abbandona quel lirismo, quella coralità e musicalità che avevano accompagnato i romanzi precedenti come “Il quartiere”, “Cronaca familiare”, “Cronache di poveri amanti” e che torneranno preponderanti nelle “Ragazze di San Frediano” (1952), per far posto a vicende drammatiche, crude, violente, in cui spicca, in modo evidente, la netta differenziazione tra il male e il bene, tra giustizia e ingiustizia.
«Con Un eroe del nostro tempo Pratolini si libera completamente dal peso e dagli incanti della memoria; non ha più agganci scopertamente personali, si affida alla fantasia, e muove personaggi nuovissimi […] E muta la soluzione stilistica: non più decantazione o gusto del frammento, preoccupazione per un periodo ed una sintassi docile, piena di dolcezze, con una leggera patina di antico, talvolta languida, quasi decomposta. Crea, per la prima volta, un dialogo vero (non recitato o sussurrato), ricerca una rapidità prima sconosciuta.» [Leone Piccioni, L’Illustrazione Italiana, 17 aprile 1949]
La condizione di miseria e infelicità è presente in tutte le pagine del romanzo e per personaggi come Virginia e Bruna il lettore arriva quasi a provar pena. L’annullamento assoluto di Virginia, donna sola, insicura, non più giovane che sente su di sé le attenzioni di Sandrino fa riflettere e porta all’amara considerazione che, nel delicato periodo storico quale è quello descritto nel romanzo, fosse alquanto facile perdersi e divenire fragili. Affidarsi alle cure di altri, ritenuti più forti e in grado di dare protezione, rappresentava una sorta di normalità, e chi lo faceva non pensava probabilmente che questa condizione di sottomissione avrebbe portato, inevitabilmente, alla perdita della propria dignità umana.
Alla fine del romanzo, quel che resta nel lettore è un senso profondo di solitudine e di smarrimento e la dolorosa consapevolezza che tutti i personaggi della storia sono vittime innocenti, anche il ribelle Sandrino che, nella sua errata convinzione di far sopravvivere gli ideali fascisti ormai perduti e per poter iniziare una nuova vita con la giovane coetanea di cui si innamora perdutamente, come atto estremo della sua natura violenta, si spinge fino all’omicidio.
L’ultimo incontro tra Sandrino e Virginia è descritto con grande pathos e preannuncia una tragedia inevitabile che si consuma velocemente e, come si percepisce dalla frase conclusiva del romanzo, lascia il posto solo all’umiliazione e al’ abbandono: “Là, nell’ombra, Virginia si faceva un piedistallo del proprio sangue, con gli occhi inutilmente sbarrati a scoprire le stelle”.