Tutto quell’amore disperso, Luca Raimondi

di Maria Cristina Ruggieri

 

Tutti quei giocattoli. Tutti quei giocattoli solo per me. Com’ero contento. Com’ero solo. Giocavo da solo. Ero contento così. Ero triste, così. E Sofia era l’ennesimo, gradito giocattolo da distruggere. Per poi rimanere ancora una volta da solo e capire, finalmente, che no, non era bello così, non mi piaceva, vivere così. Che così dettava il bisogno derivato dall’abitudine, dalla consuetudine, di essere solo ma… non era bello, proprio no. Ho bisogno di lei, dello specchio che mi pone davanti per farmi notare la mia bellezza ma anche e soprattutto le cicatrici derivate dai miei errori. Lei ha bisogno di me? Non so dirlo, questo è il mistero, questo è il dramma che ancora si compie – e che ancora a lungo si perpetuerà.

Tutto quell'amore disperso

Direbbe Gozzano gusto in opere d’inchiostro, scarsa morale, spaventosa chiaroveggenza: è questo il figlio del tempo nostro per spiegarci la tempra di Carlo Piras, protagonista delle mirabolanti avventure della crescita e della fatica di vivere.

In “Tutto quell’amore disperso”, Carlo ci racconta in prima persona il suo spaccato di vita a partire dell’immagine di Sofia “bassina e triste e imbranata”, per poi concludere con una Sofia assorta, riflessiva, forse un po’ più rassegnata di lui della sua solitudine.

I patemi di questi giovani diventano più leggeri grazie a una buona dose di spunti “fine millennio” come i video di MTV, gli intramontabili CCCP – Fedeli alla linea, i militanti di Rifondazione Comunista, Moretti, le vacanze a Ibiza. Tutto questo in atmosfere molto anti-mainstream come possono essere la “Fera ‘o luni” o il Monastero dei Benedettini a Catania.

Fin dalle prime pagine del romanzo, Carlo rifiuta la problematicità di Sofia, si impantana nella fatica dello studio della “sophia” universitaria (filosofia), come un razzo sparato nel buio dell’universo, destinazione: il passato. Proprio il passato è il filo conduttore romanzo perché, secondo le parole di Heiddeger che l’autore stesso ci suggerisce, “Il presente viene dopo l’avvenire. L’avvenire è l’origine della storia… L’inizio è già passato oltre noi, al di sopra di noi”.

In questo simil-mémoire Luca Raimondi mette in scena conflitti e psicomanie universali, come la condizione dei figli unici che non crescono mai. Colti dalla sindrome di Peter Pan, giocano tutta la vita ma a differenza di Peter Pan, senz’allegria ma in perfetta e malinconica solitudine.

Sofia, la ragazza da cui Carlo si separa per tentare relazioni più facili con Monica, Natalie, altro non è che il riflesso del suo egocentrismo, del suo bisogno di uno specchio che possa mostrargli i graffi sul suo corpo. Con questo ritorno all’origine dei suoi problemi e alla sua natura, il protagonista ritrova la percezione del suo essere “un animale in crescita”, sublimando l’angoscia di una storia ancora tutta da scrivere nella domanda: “Che ne abbiamo fatto del nostro avvenire?”

 

L’AUTORE | Luca Raimondi è nato nel 1977 ad Augusta, in provincia di Siracusa. Presso l’Università di Catania si è laureato in Filosofia nel 2000 e in Scienze dell’educazione nel 2003. Ha pubblicato con le Edizioni Dell’Ariete i romanzi “Cerniera lampo” (1996) e “Cuore del vuoto” (1998), con Aracne “Marenigma” (2009), con Melino Nerella il lungo racconto contenuto in “Amore, rabbia e verità” (2009) e quello più breve in “Le eccellenze del gusto” (2011). Nel 2013 ha pubblicato per le Edizioni Il Foglio “Se avessi previsto tutto questo. In cerca d’amore nella Catania di fine millennio”. È autore anche di alcuni saggi, tra cui “Nient’altro che un sogno. Pasolini e la Trilogia della vita” (Bastogi, 2005), “Il pensiero pedagogico di Pier Paolo Pasolini” (Sampognaro & Pupi, 2006) e “Comunicare la cultura” (Bonanno, 2007). Regista, montatore e sceneggiatore, tra il 2002 e il 2008 ha diretto sei edizioni del festival “Corto Siracusano”, nel cui ambito ha pubblicato il volume “Fronte del corto. Scenari siciliani del film breve” (Sampognaro & Pupi, 2005). Collabora con il periodico on line “Diorama”

 


 

 

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