L’ultima volta che mi ero lasciata tentare da uno dei milioni di romanzi che oggi sembrano avere libro/libreria/libraio nel titolo – fine agosto 2014, Una piccola libreria a Parigi, nb – la cosa non era andata molto bene, quindi potete immaginare con quanto timore mi sono avvicinata a questo nuovo “caso letterario”.
Parleremo in maniera puntuale dei pro e dei contro del romanzo di Shelly King, devo però ammettere che, in linea generale, la lettura non è stata tremenda come poteva essere.
Ne abbiamo già discusso – qui potete leggere la riflessione di Sara Cappellini sul mondo della titolatura, che affronta in parte l’argomento -: oggi scrivere un libro che rimandi in qualche modo al mondo della lettura sembra una delle scelte più di moda. C’è ben poco da fare: ai lettori piace vedere scaffali e pile di romanzi in copertina, e immaginare poi che, nella storia, ci sarà spazio per avventure per certi versi metaletterarie. Come abbiamo già notato, molte volte le premesse e le aspettative non vengono soddisfatte, e i libri sono solo un pretesto per attirare i lettori e spingerli all’acquisto.
Non è questo il caso. In “Tutta colpa di un libro” ampio spazio viene effettivamente riservato ai romanzi e alla lettura, con la protagonista Maggie che, da co-fondatrice di una start up di successo, passa prima a bighellonare, poi a lavorare in una libreria dell’usato, la Dragonfly. Non prima di aver preso parte a un club del libro per ricche signore in carriera e soprattutto aver scoperto sulle pagine di un romanzo la corrispondenza, datata 1961, tra due persone di nome Henry e Catherine. Due sconosciuti, che si sono lasciati messaggi romantici e profondi su L’amante di Lady Chatterley di Lawrence.
Il bello del libro di Shelly King, per come l’ho letto io, è soprattutto il fatto di non essere scontato. Il tono della storia non è dolce o melenso come si potrebbe immaginare semplicemente guardando la copertina. Maggie è una voce talvolta tagliente, talvolta sfiduciata, sempre e comunque vera. Non è una ragazzina con la testa piena di illusioni, ma una donna in cerca di una nuova dimensione – in campio sentimentale e professionale. Un personaggio diverso da quelli di cui leggiamo di solito.
Anche l’intreccio di trame, è coinvolgente. Prima di tutto non mi era mai capitato di leggere un romanzo che raccontasse dall’interno e senza filtri la vita nella Silicon Valley – non solo quella delle persone normali o di chi arriva con un sogno e pochi dollari in tasca, ma anche quella dei programmatori della Google, degli uomini che ce l’hanno fatta. Questi accenni al mondo dell’informatica hanno il pregio di dare spessore al romanzo, di muovere la prospettiva non permettendo che si appiattisca troppo sulle vicende di Maggie che cerca di risollevare le sorti della Dragonfly.
Anche se, naturalmente, sono quelle il centro di tutto. Non amo particolarmente i libri usati – forse perché dove sono cresciuta non c’erano molte possibilità di averne, e quindi ho sempre letto libri nuovi e mi sono abituata a quelli. Però devo dire che l’immagine che la King ci rimanda di questa libreria, caotica, labirintica, abitata da personaggi quasi fiabeschi… è bella. E a suo modo magica. Alla fine vorresti farci un salto, fosse solo per perderti tra gli scaffali stracolmi e le pile di libri.
I personaggi della storia non sono i classici californiani belli, abbronzati, di successo, e questo aiuta a renderli simpatici a chi legge. La Maggie che conosciamo nelle prime pagine è una ragazza che ha perso la bussola, che vorrebbe rimettersi in carreggiata, ma non sa bene come farlo. Per questo passa le giornate leggendo romanzetti d’amore, seduta su una delle due poltrone presenti in libreria. Insieme a lei, Hugo, il proprietario 59enne che in passato ha girato il mondo e adesso dispensa consigli preziosi come una sorta di guru, e Jason, una sorta di folletto, arcigno e patito di fantasy e fantascienza.
Un trio all’apparenza male assortito, che però finirà per formare un meccanismo ben oleato e dare nuova vita alla libreria perennemente in rosso. Ma dal momento che questa non è una fiaba, ma la vita reale non necessariamente il finale sarà lieto.
Molti punti a favore di questa storia, quindi. Passiamo a quello che non mi ha convinta. Prima di tutto i – rari, bisogna ammetterlo – inserti di erotismo. Sarò una lettrice della “vecchia scuola”, per la quale un romanzo può essere splendido anche senza contenere descrizioni di scene spinte, ma non capisco il motivo, in una storia come questa, di inserire certi passaggi. Il rapporto tra Maggie e Rajhit, forse per via del confronto con quello lirico e totalmente platonico tra Henry e Catherine, esce un po’ ridimensionato e quasi forzato, ma comunque può starci. Ma c’era davvero bisogno, tra iniziative di rilancio e proposte milionarie, di entrare nel dettaglio sui loro momenti di intimità? Avrei nettamente preferito il tono allusivo e poco specifico di certi grandi autori.
Secondo, ma più importante, il finale. Non è tanto la mancanza di un vero punto fermo – la protagonista avrà rincontrato l’uomo che ama? Come sarà andata? – ad avermi infastidito, quanto il modo con cui è stato gestito l’ultimo capitolo. L’autrice ha scelto di introdurre una serie di personaggi del tutto nuovi – madre e figlia, nuova famiglia di Jason, persone che lavorano alla Dragonfly e via dicendo – di cui non abbiamo il tempo di sapere praticamente nulla, ma che però parlano e si comportano come se li conoscessimo da sempre. Il libro si chiude all’insegna della confusione, secondo me. Non c’era bisogno di far entrare in scena altri personaggi. Un finale meno dispersivo e più intimistico lo avrei apprezzato di più.
Detto questo, il libro mi è piaciuto. Non è uno dei soliti castelli di carte mediatici, costruiti su una copertina accattivante e un titolo ad hoc, ma con poca sostanza sotto. C’è una storia convincente, scritta con uno stile scorrevole. Buoni personaggi e un buon ritmo. Se non è un capolavoro, almeno non è una bufala.