di Concetta Piro
Un film di Paolo Genovese. Con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Silvio Muccino, Alba Rohrwacher. Drammatico, 105′. Italia, 2017
Data di uscita italiana: 9 novembre 2017
Lui è seduto sempre allo stesso posto. Non importa a quale ora del giorno e della notte, lo troverete sempre lì, all’angolo di un ristorante, allo stesso tavolo, con un quaderno in mano. Qualche volta ci scrive delle cose, qualche altra le legge. Non sappiamo niente di lui, chi lo viene a cercare sa soltanto che è capace di esaudire desideri. Tutti i desideri: ricchezza, bellezza eterna, fede, sesso, salute, speranza. Alcune richieste sono semplici, altre più singolari ma tutte hanno un prezzo e il prezzo da pagare non è mai senza conseguenze. Angelo? Demone? Affabulatore? Psicologo? Filantropo? Qualcuno pensa che sia un mostro ma lui i mostri li nutre, dandogli soltanto quello che vogliono e chiedendo in cambio una ‘buona’ azione.
Occhi puntati su Paolo Genovese dopo l’inaspettato, quanto meritato, successo di “Perfetti sconosciuti”. Alte aspettative intorno al suo nuovo film, “The place”, che, per fortuna, non sono state disilluse.
Già dalle prime inquadrature, che esaltano i dettagli attraverso la messa a fuoco di elementi non essenziali al racconto, ma che finiscono per caratterizzare il luogo dove si svolge tutto e per arricchire la pellicola stessa, donandogli maggior spessore.
Il regista utilizza l’interno appartato di un bar – o meglio, di un angolo ristoro – e parte della veduta esterna, limitandosi alla facciata e a qualche metro di marciapiede. L’unica inquadratura a campo profondo e non poco sfocata di ciò che accade fuori, la osserviamo attraverso la vetrata accanto all’uomo: un’ignota città uggiosa e trafficata, in un tempo indefinito.
L’uomo (Mastrandrea) è il punto di congiunzione tra i protagonisti, scelti con meticolosa cura dal regista romano avvezzo ai cast corali che dirige con maestria.
In una squadra composta per la maggior parte da comprimari abituati all’incursione della macchina da presa, è proprio Mastrandrea ad avere la meglio su tutti. La sua interpretazione apparentemente algida, è resa intensa da uno sguardo vuoto e smarrito in cui si perde anche la razionale Angela, interpretata ottimamente da Sabrina Ferilli.
Eccelle anche Alessandro Borghi, interpretando il ceco Fulvio, disposto (quasi) a tutto pur di riacquisire la vista, quella oculare, a discapito di quella introspettiva, dell’anima. Sono i tre attori che spiccano, ma comunque tutti i protagonisti sono degni di essere menzionati, per il loro osare senza strafare.
Filo conduttore invisibile è il contorto destino di cui l’uomo – non è un caso che Mastandrea sia identificato semplicemente così – è solo in parte artefice, burattino di qualcosa di elevato che condiziona gli eventi.
“The place” si chiude con un finale sublime, non scontato ma ambiguo, che lascia spazio a molteplici interpretazioni, proprio come nei film più sofisticati. Una conclusione concreta per ogni personaggio ma non ermetica, non incondizionata, bensì frutto di ogni singola mente umana capace di generare pensiero.