“The good place”: quando i buoni si riconoscono – anche – dagli abiti

La sitcome con Kristen Bell prende di mira con ironia i vizi della società, spostando l'azione nell'Aldilà

di Samira Solimeno

 

Brillante sitcom ambientata nell’aldilà, in una sorta di centro di riabilitazione morale dove la protagonista, in vita cattivissima, dovrà fare di tutto per non farsi beccare e quindi cacciare, “The Good Place” è, nonostante i buoni riscontri di pubblico e critica statunitensi, poco conosciuta da noi.

Dopo essere morta in un incidente stradale, Eleanor Shellstrop (Kristen Bell), giovane rappresentante di medicine poco efficaci per anziani, si risveglia nella “parte buona” dell’aldilà. Capisce presto che si tratta di un errore, perché in vita è stata perfida, egoista, incapace di compiere anche solo una buona azione.

Bloccata in questo mondo dove è impossibile dire le parolacce e tutti sono gentili, Eleanor deve nascondere il suo comportamento “cattivo” e imparare a comportarsi come una persona degna della “parte buona”.

Tema centrale della serie e suo punto di forza è l’etica, affrontata in chiave ironica e divertente, e applicabile anche all’abbigliamento dei personaggi. Nella cittadina celeste di The Good Place, ad esempio, nessuno si veste di rosso. Perché i buoni indossano sempre capi, accessori e persino cosmetici di colore verde, mentre il rosso è riservato ai cattivi.

La chiave del successo della sitcom, rinnovata per una terza stagione, sta nel modo in cui viene sviluppata la tematica “alta” e filosofica. I personaggi – e con loro gli spettatori – sono chiamati continuamente a domandarsi cosa sia giusto e cosa sbagliato, e in ultima analisi fino a che punto si possano dividere le persone tra buone e cattive.

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