Era probabilmente uno dei romanzi più attesi in Italia di questa fine di primavera, visto il grande interesse riscosso a livello internazionale. Dopo aver letto “The Atlas six“ di Olivie Blake, uscito per Sperling & Kupfer il 17 maggio, posso dire che per me la sensazione predominante è il dubbio, l’incertezza. È una storia intrigante e innovativa oppure un caso costruito ad hoc, ma senza fondamento?
Ogni dieci anni, ai sei maghi più talentuosi in circolazione viene offerta la possibilità di conquistarsi un posto nella Società Alessandrina, l’istituzione più segreta ed esclusiva del mondo, che garantirà loro potere e prestigio oltre ogni limite.
In occasione della nuova iniziazione, il misterioso Atlas Blakely sceglie: Libby Rhodes e Nico de Varona, due fisicisti che controllano gli elementi e sono in competizione da tempo immemore; Reina Mori, una naturalista che comprende il linguaggio della vita stessa; Parisa Kamali, una telepatica per cui la mente non conosce segreti; Callum Nova, un empatico in grado di far fare agli altri qualunque cosa; e Tristan Caine, capace di smascherare qualsiasi illusione.
Ciascuno dei prescelti dovrà dimostrare di meritare l’accesso alla Società e lottare con tutte le sue forze per ottenerlo, sebbene ciò significhi stringere alleanze con i nemici giurati e tradire gli amici più fidati. Perché, anche se i candidati straordinari sono sei, i posti nella Società sono solo cinque. E nessuno vuole essere eliminato.
Come ho scritto in apertura, “The Atlas six” è un romanzo che lascia il lettore, alla fine, con molti dubbi. E non è solo “merito” del finale apertissimo, che lascia ampio spazio per un possibile seguito (spoiler, “The Atlas paradox” uscirà il lingua originale il 25 ottobre 2022), ma anche per la sua stessa struttura, per lo stile, per lo sviluppo – o assenza di sviluppo – della storia.
Le premesse erano ottime. In un mondo dove la magia è reale ma non divisa equamente tra tutti – la solita, “vecchia” storia: ci sono persone con poteri e persone senza poteri -, ogni dieci anni la misteriosa Società Alessandrina offre ai sei più dotati di entrare a far parte delle proprie fila. I posti a disposizione, però, sono solo cinque. Nel corso di un anno di addestramento, “i sei” dovranno scegliere chi di loro eliminare… e la parola non è scelta a caso.
Facciamo così la conoscenza dei nuovi prescelti, Libby, Nico, Reina, Parisa, Callum e Tristan, e delle loro sorprendenti abilità. La storia viene raccontata dai diversi punti di vista, in un’alternanza che permette di scavare a fondo nelle rispettive storie e capacità – anche se, a mio avviso, il personaggio di Reina viene lasciato in disparte e approfondito molto meno degli altri. Non disturba che tutti e sei siano “eccessivi”, ognuno a suo modo: era difficile aspettarsi qualcosa di diverso.
Nel corso del primo anno di studio/addestramento non è che succeda molto. Ci sono tanti discorsi filosofico-esistenziali, tanti dialoghi (talvolta un po’ affettati). La storia procede lentamente, ma quanto meno ha una sua coerenza di base, con i sei che si studiano a vicenda, cercano di creare alleanze in vista dell’iniziazione ma portano anche avanti i rispettivi piani collaterali. Ci sono anche diversi misteri intriganti – il personaggio di Atlas, il potenziale di Tristan, la natura stessa della Società.
Ma ecco che quando pensiamo di avere chiaro cosa abbiamo davanti – ovvero una sorta di thriller, dove il punto è chi sarà eliminato e come oppure se il gruppo troverà un modo per evitare di eliminare qualcuno -, le cose cambiano, e il tutto viene inquadrato in una storyline più ampia da fine del mondo che sembra un po’ tirata per i capelli. Nelle ultime cinquanta pagine entra in gioco un altro, imprevedibile giocatore (o dovremmo dire viaggiatore…), le carte si sparigliano, ci rendiamo conto di molto elementi che non avevamo considerato. E in sintesi tutto quello che è successo ci viene mostrato sotto una nuova luce.
E da qui il dubbio: quello che è venuto prima era volutamente lento e contorto per generare un maggiore effetto sorpresa, oppure l’autrice ha deciso solo alla fine la direzione da dare alla storia? C’è sempre stato un piano dietro, un’architettura complessiva precisa, oppure Olivie Blake si è fatta prendere la mano, aggiungendo elementi su elementi – in sintesi tutti quelli che, se un minimo conosci il genere dark fantasy in chiave teen, sai che piaceranno al pubblico?
Come ho detto, ho finito il libro con il dubbio. Non ho risposte da darvi. L’unica soluzione è aspettare l’uscita del sequel di “The Atlas six” per capire come si svilupperanno le cose, se la storia troverà una sua direzione e un suo senso, oppure no.