“Sibyl – Labirinti di donna”: un film sul doppio con troppa carne al fuoco

Virginie Efira convince solo a tratti nel ruolo della (ex) psicoterapeuta che diventa scrittrice

Un film di Justine Triet. Con Virginie Efira, Adèle Exarchopoulos, Gaspard Ulliel, Sandra Hüller, Laure Calamy. Commedia, 100′. Francia 2019

Sibyl ha abbandonato la scrittura per diventare psicologa, ma con il tempo la voglia di scrivere è tornata: dunque la donna chiude le terapie in corso con i suoi pazienti e comincia a immaginare la trama del suo nuovo romanzo. Ma a sorpresa una giovane attrice, Margot, la contatta telefonicamente con voce disperata: è incinta del coprotagonista del film che sta girando, e la compagna ufficiale dell’attore è proprio la regista di quel film. Per motivi che nemmeno lei sa spiegarsi, Sibyl prende in cura questa unica e ultima paziente, e diventa per lei un punto di riferimento imprescindibile. In realtà anche per Sibyl Margot diventa a poco a poco necessaria, con una sorta di transfert alla rovescia. La psicologa/scrittrice, che ha alle spalle una gravidanza problematica e un passato di alcolista, si identifica fin troppo nella sua paziente.

 

Che cosa accadrebbe se la nostra terapeuta avesse un crollo nervoso? Oppure se decidesse all’improvviso di mollare tutti i suoi pazienti per dedicarsi alla scrittura, sua passione da sempre? E se magari utilizzasse proprio le confessioni più intime raccolte durante le sedute come materiale per il suo libro?

Anche solo pensare a uno di questi scenari potrebbe causare panico in chi è stato in passato o magari è tutt’ora impegnato in un percorso terapeutico. Ma è quanto accade in “Sibyl – Labirinti di donna” di Justine Triet, presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2019 e adesso in uscita nelle sale italiane.

La protagonista (Efira), psicoterapeuta bella quanto inquieta che decide di lasciare il lavoro per (ri)mettersi a scrivere, sembra la versione femminile di un tipico personaggio di Woody Allen: costantemente in bilico tra normalità e sfuriate nevrotiche.

Nonostante la sua decisione, Sibyl accetta di seguire un’ultima paziente, Margot (Exarchopoulos), una giovane attrice incinta del suo coprotagonista, già impegnato con la regista del film. E finisce per essere risucchiata dalla vita della ragazza, con una serie di transfert rovesciati.

“Sibyl – Labirinti di donna” è il tragicomico racconto di una donna che, nonostante la sua professione, si dimostra fragile, dipendente e debole di fronte alle pene d’amore e alle ossessioni della mente.

Alcuni spunti narrativi erano potenzialmente forti, ma gli sceneggiatori li hanno dispersi in un testo dove c’è troppo di tutto – troppi generi, troppi temi, troppi stimoli. Il desiderio di stupire a ogni costo ha generato un pastrocchio.

Il film vive di fiammate interpretative e di passaggi narrativi decisamente brillanti che si accompagnano però a momenti eccessivamente verbosi e a una rappresentazione troppo caricaturale dei personaggi, che risultano un concentrato fastidioso di cliché.

Virginie Efira, probabilmente alle prese con il ruolo più difficile della sua carriera fino a oggi, è volenterosa, appassionata, generosa. Trasmette però la sensazione di aver fatto il passo più lungo della gamba, e si dimostra all’altezza del compito solo a tratti, nei passaggi più leggeri e ironici.

Meglio, nel complesso, Adèle Exarchopoulos e Sandra Hüller, che crescono scena dopo scena fino ad arrivare all’apice con gli esilaranti quanti epici scontri di gelosia sul set di Stromboli.

“Sibyl – Labirinti di donna” lascia allo spettatore/paziente l’agrodolce consapevolezza che neanche il più solido dei terapeuti è immune dai dispiaceri dell’amore, e che si può anche vivere una propria versione della realtà, purché lucidamente consapevoli.

 

Il biglietto da acquistare per “Sibyl – Labirinti di donna” è:
Nemmeno regalato. Omaggio (con riserva). Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

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