Nel mondo, ma anche in Italia, sono tantissime le persone che, messe alle strette sul mestiere dei sogni, non hanno dubbi a rispondere: lo scrittore. Lo conferma anche un sondaggio svolto nel Regno Unito – sono il 60% i britannici che vorrebbero scrivere per vivere. Ma se in tanti vedono soltanto “i lati positivi” della cosa – una vita libera da orari di ufficio, la possibilità di seguire la propria vena artistica, il successo – quanti riescono a soppesare pro e contro?
Vi proponiamo un pezzo di analisi completo del mestiere di scrittore, che può sembrare un sogno, ma se non interpretato nel modo giusto può trasformarsi in un vero e proprio film horror.
Traduzione di Lucia Andreuzza
È incredibile, o lo sarebbe, se gli autori non passassero buona parte del loro tempo cercando, in maniera assidua e per un tempo noiosamente lungo, di evitare cliché. Il fatto che le persone fantastichino sull’essere scrittori dimostra soltanto quanto poco queste sappiano sulla realtà del lavoro o quanto siano poco documentate su uno dei più grandi esponenti del mestiere.
Fu George Orwell che coniò questa definizione del romanziere: ”Tutti gli scrittori sono vanitosi, egoisti e sfaticati e alla base delle loro motivazioni c’è un mistero. Scrivere un libro è una lotta terribile ed estenuante come l’attacco di una lunga e dolorosa malattia. Uno non intraprenderebbe una cosa del genere se non fosse guidato da qualche demone al quale non si può resistere e che non si può capire”.
Questa visione della scrittura non occupa uno spazio notevole nell’immaginario collettivo. Al contrario, gli autori sono visti come personaggi piuttosto sereni e nobili che vezzeggiano le loro penne e cercano incessantemente, fuori dalla finestra, l’ispirazione, che arriva sempre, e fluttuano in una bolla godendosi una prospettiva quasi olimpica sul mondo. Lavoratori non legati al classico “dalle nove alle cinque” come gli altri, per vivere scelgono bellissime frasi prendendole dall’aria come farfalle che passano e che intrappolano e attaccano alla pagina come decorazione.
Se solo fosse così. Alcuni scrittori, lo ammetto, promuovono i piaceri insiti nel creare un romanzo. Tutto quello che posso dire, è che ho scritto romanzi per quasi vent’anni e non per scelta ma precisamente per la ragione che Orwell descrive – “guidato da qualche demone al quale non si può resistere e che non si può capire”. In più di un’occasione ho desiderato vivere in un altro modo, una speranza che capisco essere totalmente vana al momento, in quanto “scrivere” è la mia sola abilità spendibile. Ho avuto un discreto successo, vinto alcuni premi e sono stato nominato per alcuni altri. Talvolta, in accordo con l’editoria che esisteva allora, ho ricevuto delle offerte generose da parte degli editori.
Non si può negare che essere uno scrittore dia molte soddisfazioni. Gli scrittori devono esporre la loro visione del mondo, che per qualche ragione sembra loro essere importante, nonostante, come anche Orwell ha osservato, questo sfoggio di idee potrebbe essere indistinguibile da ciò che fa il bambino quando piange per richiamare l’attenzione.
Nei momenti migliori il loro lavoro passa dall’essere un mestiere all’essere arte. Essi sono tenuti in considerazione, è vero, e controllano il loro tempo molto di più rispetto alla maggior parte dei lavoratori salariati. Certamente anche guardare fuori dalla finestra, ha la sua importanza. Tuttavia, come faccio presente agli scrittori alle prime armi che frequentano le mie Master Class, scrivere romanzi per vivere è difficile, incredibilmente difficile per coloro che non ci hanno mai provato. Non riesco a immaginare che sia meno complesso di un intervento chirurgico al cervello o addirittura della proverbiale scienza missilistica.
Padroneggiare il dialogo, la descrizione, il sottotesto, la trama, la struttura, il personaggio, il tempo, il punto di vista, gli inizi e gli epiloghi, il tema e molto altro è una fatica sovrumana, non resa più piacevole dal fatto che fallisci sempre, e sottolineo sempre. Tutti gli autori saranno d’accordo con l’affermazione che un lavoro non sia mai completo ma solo abbandonato. In quanto perfezionisti, non raggiungiamo mai i nostri obiettivi. Conviviamo con i fallimenti anche quando abbiamo successo, perché abbiamo sulle spalle tutto il peso della letteratura, che ci prende in giro con superiorità e ci fa scomparire nell’anonimato.
Essere uno scrittore comprende anche il ricevere un’enorme quantità di rifiuti, tutti i premi per i quali sentivi con sicurezza che saresti stato nominato e alla fine non è successo, tutti quelli per cui sei stato nominato e non hai vinto, tutti i diritti comprati per farne trasposizioni televisive e cinematografiche mai realizzate e tutte le copie che non hai venduto.
Devi affrontare l’invidia mentre guardi i tuoi rivali – e gli autori vedono rivali ovunque per quanto loro lo neghino – avere, almeno in apparenza più successo di te (naturalmente, non presti nessuna attenzione alla grande e invisibile maggioranza di chi ne ha di meno).
Scrivere non è un’attività socievole e basata sulla collaborazione, come John Dos Passos ha dichiarato: “ Gli scrittori sono come le pulci, ottengono pochissimo sostentamento l’uno dall’altro”. Spesso è un mestiere solitario. È insicuro, e non solo finanziariamente, perché il fatto che tu abbia scritto un buon libro non è una garanzia che sarai in grado di scriverne un altro. Mette in subbuglio le relazioni, poiché la maggior parte degli scrittori sono estremamente introversi, a tal punto che quando sono nel mezzo di un lavoro a malapena si accorgono che il resto del mondo esiste. Quando hai successo, puoi diventare rapidamente vanitoso e narcisista. Quando non ne hai sei depresso e disperato.
Se la gente pensa che io sia fortunato, a scrivere per vivere, capisco perché. Sento che lascerò una sorta di piccola eredità quando me ne andrò, una raccolta di lavori che ha rappresentato qualcosa. Io so che ha contato qualcosa, perché ricevo ancora lettere riguardo ai miei libri, nelle quali mi ringraziano e riconoscono in un modo o nell’altro l’aiuto che ho dato al lettore a far luce sul proprio mondo. Credo ancora che la mia sia una professione nobile e non c’è niente, data la mia limitata gamma di talenti di cui parlavo sopra, che preferirei fare.
Tuttavia, se fossi onesto, se mi fosse offerta la possibilità di fare a cambio con George Clooney, non credo che esiterei per molto. Infatti, persino un taxista, che fa parte della percentuale più bassa del sondaggio sulle professioni dei sogni – con un limitato 13% – spesso mi sembra che viva una vita più interessante della mia.
Scrivere non è una scelta, è una vocazione – e a mio avviso chi pensa che il denaro sia parte del fascino di questo lavoro non ne ha capito niente. Meglio così, perché queste persone non potrebbero mai fare questo mestiere.
A voi la parola, amici lettori e soprattutto scrittori. Quali pensate che siano i pro e i contro di questa affascinante professione? Credete che, in generale, il mestiere di scrittore sia sottovalutato – nel senso che di questo si vedono soltanto i lati positivi e non la solitudine, l’impegno e la fatica che richiede? Siamo curiosi di sapere come la pensate.