“Rifkin’s Festival”: un classico film del Woody Allen “europeo”

Bella la fotografia dell'italiano Vittorio Storaro; povera e banalotta la sceneggiatura

Un film di Woody Allen. Con Wallace Shawn, Gina Gershon, Louis Garrel, Christoph Waltz, Elena Anaya, Sergi López. Commedia, 92′. USA, Spagna 2020

Fermi a un bivio da troppo tempo, Mort Rifkin e la moglie Sue non si intendono più. Lui, ex professore di cinema, prova a scrivere il romanzo della vita; lei, press agent, si lascia sedurre da un regista francese vanesio, convinto di risolvere con l’arte il conflitto israelo-palestinese. A complicare le cose si aggiunge una cardiologa cinefila che cura l’ipocondria di Mort e lo risveglia dal torpore. Menzogne, tradimenti, conquiste, scacchi, la materia perfetta da discutere col proprio psicologo…

 

Finalmente le sale hanno riaperto, e uno dei film usciti il 6 aprile è “Rifkin’s Festival”, l’ultimo lavoro di Woody Allen – che nonostante gli 85 anni ha dichiarato di non avere nessuna intenzione di andare in pensione e di star già lavorando a una nuova sceneggiatura.

Attraverso il racconto fatto ad uno psicanalista, Mort Rifkin (Shawn), ex professore e grandissimo appassionato di cinema, ripercorre l’ultimo viaggio fatto insieme alla moglie Sue (Gershon) al Festival di San Sebastián, in Spagna – dove il film, tra l’altro, è stato presentato in anteprima nel settembre 2020.

Lavorando sulla formula che lo ha reso celebre, Woody Allen rende soprattutto omaggio ai grandi classici del cinema europeo e internazionale – “Quarto potere”, “8½”, “Il settimo sigillo” –, che vengono rivisitati nelle “visioni” del protagonista, attraverso un montaggio in bianco e nero che il nostro Vittorio Storaro, leggendario direttore della fotografia, rende giocoso e riuscito.

A funzionare meno, invece, è la sceneggiatura in quanto tale, davvero poca cosa, e la voce narrante del protagonista, che altro non è se non l’ennesima riproposizione dello stesso tipo – e del regista. A Mort Rifkin Allen affida come di consueto tutto il suo sentire e tuta la sua “poetica” e le sue idee (sulla storia del cinema, i rapporti di coppia disfunzionali, i meccanismi dietro lo showbiz).

Surreale e umoristico, “Rifkin’s Festival” risulterà accattivante per i cinefili, viste le sue tante citazioni e riferimenti, molto meno per lo spettatore medio.

La calda fotografia di Storaro, quanto meno, riprendendo scorci e luoghi caratteristici di San Sebastián, ci rimanda il ricordo felice dell’Allen “europeo”, riportando alla mente pellicole come “Vicky Cristina Barcelona”, “Midnight in Paris” e “To Rome With Love”. Non sarà tanto, ma almeno si salva qualcosa.

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