“La libertà possibile”: recensione del libro di Margaret Wilkerson Sexton

Tre generazioni, tre destini e tre epoche a confronto nel romanzo americano edito da Fazi

Quello che mi è rimasto alla fine della lettura di “La libertà possibile” di Margaret Wilkerson Sexton, edito da Fazi, è un perdurante senso di vuoto, di sconforto e tristezza per lo stato pietoso del nostro mondo “moderno”.

Le discriminazioni e gli abusi a cui per generazioni sono state sottoposte le persone di colore negli Stati Uniti – e che non possono dirsi del tutto concluse neppure adesso, nel XXI secolo – sono un fatto acclarato, eppure vederle scritte nero su bianco, in forma di romanzo ma senza mezzi termini, è stato se possibile anche peggio che sentirne parlare di quando in quando in tv o leggerne online.

1944, New Orleans. Evelyn proviene da una delle più rispettate famiglie della città e quando si innamora di Renard, un ragazzo qualsiasi, senza soldi e dal futuro incerto, in casa scoppiano le tensioni. Le riserve della famiglia di lei e la decisione di lui di partire per la guerra come volontario metteranno alla prova la relazione tra i due.

Negli anni Ottanta, la figlia di Evelyn, Jackie, è una madre single: il marito Terry è andato via di casa nel tentativo di combattere la sua tossicodipendenza, lasciando soli lei e il figlio T.C. L’inaspettato ritorno dell’uomo sconvolge la ritrovata normalità di Jackie, la quale è lacerata dall’idea di dargli un’altra opportunità. Nel 2010, in una New Orleans che porta ancora i segni dell’uragano Katrina, il venticinquenne T.C. è appena uscito di prigione quando il suo amico Tiger gli propone un “grande affare”. L’arrivo di un figlio sconvolgerà i piani del ragazzo, ma non il giro di eventi che ormai si è innescato.

Tre generazioni, tre destini e tre epoche a confronto per raccontare la faticosa conquista della libertà da parte dei membri di una famiglia di colore, oltre i pregiudizi sociali e le aspettative dei familiari, fra sogni infranti e porte che invece si aprono.

“La libertà possibile” è un libro bellissimo e crudele, toccante e agghiacciante al contempo. Lo stile è scorrevole, iconico: l’autrice riesce a descrivere i suoi personaggi e i tre contesti in cui si svolgono le rispettive storie con precisione e al contempo con partecipazione. Un libro sentito ma mai schierato, un libro che lascia ciascun lettore libero di scegliere la propria interpretazione.

Quello che alla fine rimane addosso, come dicevo, è un forte senso di vuoto. Per quello che è successo anni fa e per quello che sta succedendo ancora adesso. Per il concetto di uguaglianza che, come è capitato spesso nella storia, non si applica a tutti ma soltanto a delle categorie selezionate. Per tante, troppe vite sprecate. Per quel senso di ineluttabilità che grava su buona parte dei personaggi – in modo particolare sulla Jackie degli anni ’80 e sul T.C. del post-Katrina.

Un libro che fa bene e male allo stesso tempo. A tratti difficile da mandare giù, ma sicuramente meritevolissimo di essere letto.

 

 

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