Riflessioni sparse su “Il posto di ognuno. L’estate del commissario Ricciardi“, edito da Einaudi, visto che nel giro di pochi giorni leggerete ben tre recensioni sui romanzi di Maurizio De Giovanni appartenenti a questa serie – segno evidente, quanto meno, che una volta che si è iniziato a leggerli è molto difficile smettere.
Perché se è vero che ogni libro contiene un suo caso – prendo in prestito i termini dalle serie tv, una “trama verticale”, che inizia, si sviluppa e finisce -, ce n’è anche una orizzontale, che va da romanzo in romanzo, e questa intriga quanto le indagini, e spinge a iniziare un altro libro e un altro ancora, per capire come si svilupperà.
La vita di Luigi Alfredo Ricciardi, il dolore enorme che si porta dietro, la condanna di vedere le anime dei morti ammazzati, cristallizzati nel loro ultimo pensiero, che gli risuona in testa a ciclo continuo, e quindi il suo rifiuto di aprirsi alla vita, convinto com’è di non meritare la gioia di una famiglia, di un amore… colpiscono. È difficile non affezionarsi a questo trentenne d’altri tempi, che è tanto risoluto e schietto quando si tratta di lavoro quanto titubante e quasi infantile nei rapporti interpersonali.
Immagino anche che, per un lettore diverso, il suo modo di approcciarsi con le donne – con la bella e audace Livia, che lascia Roma per trasferirsi a Napoli incantata da due occhi verdi; con la riservata Enrica, una sorta di angelo del focolare anni ’30 – e il loro modo di approcciarsi con lui possano risultare irritanti.
È capitato anche a me di provare sensazioni di questo tipo (vi rimando alla mia recensione di “La condanna del sangue”, se non l’avete ancora letta, per capire di cosa parlo), però con questo terzo libro, non so bene perché, sono tornata ad apprezzare la magia della storia, la bellezza delle ambientazioni, il tormento così poco moderno dei personaggi.
Come avevo già notato e sottolineato parlando di “Il senso del dolore”, quello che della scrittura e dei libri di Maurizio De Giovanni mi colpisce sempre è il loro unire poesia e liricità con storie truci, basse, delittuose. Si tratta sicuramente di gialli – o polizieschi, che dir si voglia – eppure hanno una musicalità e un tono difficili da trovare altrove.
Il “caso di giornata” è l’uccisione della ricca e bella duchessa di Camparino, donna misteriosa e dalla vita chiacchierata. Con l’aiuto del fidato Maione, e del sovversivo dottor Modo, Ricciardi si metterà sulle tracce dell’assassino, finendo per scoprire più di quanto si aspetterebbe.
Ma tanto, alla fine, il caso passa, viene archiviato, e quasi ci se ne dimentica. Quello che spinge a prendere subito in mano il romanzo successivo sono le vite dei protagonisti, così lontane dal presente eppure così coinvolgenti.