Quello che colpisce di “Palermo connection” di Petra Reski, edito da Fazi editore, è soprattutto il forte realismo. Un realismo che avvicina questo romanzo, esordio di una nuova serie che per la prima volta racconta la trattativa Stato-mafia nel nostro Paese sotto forma di narrativa, a un reportage, a un documentario, a una pagina di storia.
Nella Palermo di oggi la procuratrice antimafia Serena Vitale, figlia di un emigrato italiano in Germania e tornata in Sicilia dopo l’infanzia trascorsa nel bacino della Ruhr, bella e battagliera, decide di mettersi in pericolo in prima persona per portare in tribunale per collusione mafiosa un politico di primo piano.
Serena ha visto cadere uomini e donne per mano della mafia, non ultimo il giudice che aveva come modello, ma non per questo pensa di fare un passo indietro. E dagli interrogatori appare evidente che la rete che ha scoperto è molto più estesa di quanto potesse immaginare.
Queste le premesse del “caso di giornata”, ma come ho scritto in apertura più dell’indagine e della figura della protagonista, che comunque convince per il suo essere forte ma umana, una donna di oggi con convinzioni e paure, mai un personaggio stereotipato o incredibile, colpisce l’atmosfera del libro.
“Palermo connection” è un thriller realista, un libro che ci rimanda con estrema forza tutta la pesantezza di una situazione, di un luogo, di un momento storico. Nelle pagine della Reski, nelle reazioni descritte in modo incredibilmente vivido dei suoi personaggi, io ho avvertito un eco fortissimo della Palermo di Falcone e Borsellino, della Sicilia delle stragi degli anni ’90.
Il giudice sapeva che sarebbe stato il prossimo. Serena si ricordava ancora del pomeriggio in cui aveva iniziato a piangere davanti a loro – lui, che non aveva pianto neppure al funerale del suo migliore amico che la mafia aveva fatto saltare in aria cinquantasette giorni prima di lui. Serena sedeva con un collega nel suo ufficio, parlavano delle indagini, quando il giudice improvvisamente si alzò nel mezzo del discorso, camminò intorno alla scrivania, si sedette sul divano, batté le mani davanti al viso e disse: «Un amico mi ha tradito, un amico mi ha tradito». Piangeva, nella stanza non si udivano altro che i suoi singhiozzi e il suo respiro. Né Serena né il suo collega ebbero il coraggio di fare domande. Si convinsero che si trattasse di qualcosa di personale. Non volevano essere invadenti. Avevano paura. Ora Serena sapeva che era stato un generale dei carabinieri ad averlo tradito.
È vero che la Palermo del romanzo è la Palermo di oggi, ma l’autrice è stata capace di costruire un’atmosfera per certi versi senza tempo, che ogni italiano con un minimo di conoscenza della storia non potrà non sentire fin nel profondo del cuore. Un grandissimo risultato, a prescindere da tutto il resto.