Scrivere un chick lit brioso e divertente è tutt’altro che un’impresa facile. Sfatiamo il mito che, seguendo la strada tracciata da Sophie Kinsella e dalla sua Becky, oggi decidere di cimentarsi in una commedia rosa a tinte allegre sia scontato o semplice. Non è andare sul sicuro, scegliere di cimentarsi con questo genere! Perché mettere su carta elementi nuovi, creare dei personaggi credibili e usare uno stile adatto alla situazione… è complicato. Più complicato che in altri segmenti della narrativa, se volete, perché qui si deve fare i conti con i modelli “alti” ma soprattutto con tutta la massa di romanzi non riusciti che affollano il mercato e condizionano le idee del pubblico su questo tipo di storie.
Lunga premessa per dire che, secondo me, Anna Bell riesce nell’impresa in maniera magistrale. “Non ditelo allo sposo” risulta una lettura piacevole, scorrevole, ricca di spunti divertenti ma anche di passaggi emozionanti. Un romanzo scritto prima di tutto molto bene, con uno stile curato e personale – ed è innegabile, questo è il primo aspetto da tenere in considerazione, quando si vuole produrre un’opera che speri di riscuotere un qualche successo (i giovani autori e le giovani autrici che si lanciano nel settore dovrebbero davvero ricordarselo, prima di pubblicare un libro!).
Il tema cardine del libro è il matrimonio, e soprattutto l’organizzazione dell’evento da parte di una sposa alle prese con evidenti problemi di budget. Abiti bianchi, banchetti, damigelle e contrattempi di ogni genere e tipo trovano sempre più spesso diritto di cittadinanza nei chick lit. Cosa possiamo farci se leggere di questa giornata speciale e di tutti gli annessi e connessi ci piace sempre? Anche in questo caso, riuscire ad affrontare la cosa con un minimo di originalità, senza cadere nel già detto e nel già letto, non era semplice. La Bell ci riesce.
Merito di una protagonista che ci ricorda in qualche modo la Becky Bloomwood di “I love shopping” – qui è il Bingo online la mania della fanciulla, ma in ogni caso il risultato non è molto diverso: futuro marito tenuto all’oscuro di tutto, difficoltà organizzative, pasticci a non finire – ma ha anche caratteristiche proprie, particolari, che la rendono unica pur restando nella categoria delle ragazze sognatrici, che però alla prova dei fatti non si dimostrano molto concrete e realiste.
Il bello di Penny sta proprio nel fatto che ci ricorda sì qualcuno, ma non è una copiatura fatta e finita come talvolta capita di vedere nei romanzi rosa. Penny è particolare, è diversa, è unica. Prima di tutto perché, anche se con alterne fortune, decide di chiedere aiuto e inizia a frequentare un gruppo per giocatori compulsivi. Ce la vedete la protagonista della Kinsella a considerarsi “malata”? Penny capisce di avere un problema, accetta di non essere perfetta. E questo, anche se ha perso 10.000 sterline giocando a Bingo, ce la rende simpatica come Becky Bloomwood non ci è quasi mai!
La futura sposa, qui, cade in fallo seguendo un irrazionale desiderio di avere di più – senza rendersi conto che ciò che ha è giù più che sufficiente, udite udite, ecco la morale della storia – però in lei possiamo rivederci. Perché ha manie da principessa senza essere esageratamente fuori di testa, perché mente sul suo operato per timore di perdere il futuro marito (non solo per coprire le sue malefatte), perché non è del tutto egoista e concentrata su se stessa.
Anche in questo romanzo il protagonista maschile rischia di fare la parte della controfigura – cosa possiamo farci se agli eroi, nei chick lit, viene richiesto al massimo di perdonare gli scivoloni della compagna di turno e di presentarsi all’altare? – se non fosse per le azzeccatissime scelte di trama dell’autrice che sventano il pericolo. Perché Mark, qui, non è solo un nome che ricorre di tanto in tanto nei pensieri di Penny: Mark è una persona in carne e ossa, che parla, agisce, di cui scopriamo passioni, preferenze, dettagli. E alla fine è proprio lui l’ago della bilancia (non dirò di più per non rovinarvi la sorpresa).
Tra corse contro il tempo, budget decisamente stringati, manie di grandezza che fanno i conti con la dura prova della realtà, c’è spazio anche per tutta una serie di trame verticali che arricchiscono il romanzo e lo rendono non solo simpatico, ma avvincente. Così conosciamo un gruppo di ex giocatori d’azzardo compulsivi, con tanto di mentore dagli occhi azzurrissimi, che aiuteranno la protagonista a liberarsi dal suo vizietto, una migliore amica evasiva, una coppia di amici in crisi. E poi le arzille vecchiette dei sabati al museo, la cuoca che cerca di abbinarsi ai matrimoni cambiando colore dei pantaloni, colleghe e colleghi, familiari assortiti, vecchie fiamme.
Penny e Mark non si muovono in un mondo vuoto, vitalizzato soltanto dalla loro presenza e dal matrimonio, ma in un universo ricco, rifinito, sfaccettato. Ed è questo forse, insieme all’immancabile lieto fine che ha quasi rischiato di farmi versare una lacrimuccia e allo stile ironico e divertente, che rende “Non ditelo allo sposo” un libro leggero ma davvero meritevole di essere letto.