Una serie ideata da Carlo Bernard, Doug Miro. Con Michael Peña, Diego Luna, Aaron Staton, Alyssa Diaz, Fernanda Urrejola. Poliziesco, drammatico. USA, Messico. 2018-in corso. 10 episodi
Concepita inizialmente per essere una quarta stagione di “Narcos” e sviluppata poi come una serie spin-off, “Narcos: Messico” (i cui primi dieci episodi sono stati rilasciati su Netflix il 16 novembre) si concentra sul Cartello di Guadalajara, costituito negli anni ’80 per impulso di Félix Gallardo.
Il taglio scelto per la narrazione è lo stesso della serie-madre: un simil documentario arricchito dal voice over. A differenza del personaggio di Pablo Escobar (Moura), Gallardo è scritto e interpretato, da Diego Luna, con minor enfasi. Si tratta di un criminale più misurato e composto, meno “folle” ma comunque assetato di potere.
Alla federazione di narcotrafficanti in ascesa si oppone l’agente della DEA Kiki Camarena (Peña), trasferitosi dalla California insieme a moglie e figlio per assumere un nuovo incarico. L’uomo scopre rapidamente che il suo nuovo compito è più impegnativo di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Mentre Kiki indaga su Félix, si verifica una tragica catena di eventi, che influenzano il traffico di droga e la guerra contro di esso negli anni a venire. Attraverso l’incontro e lo scontro con personaggi che già conosciamo la storia di “Narcos: Messico” aggiunge tasselli che vanno a completare il quadro delineato in modo particolare dalla prima stagione della serie.
In una escalation di violenza, lo spin-off tiene fede al progetto originario e adotta la massima Squadra che vince non si cambia. Le basi su cui è costruito questo Narcos 2.0 sono solide ma sarebbe stato lecito aspettarsi qualche elemento innovativo, che invece manca del tutto.