di Laila Kent
Il linguaggio è davvero complicato, in quanto dipende molto dalla situazione e dal contesto in cui viene utilizzato. Se vedeste un titolo come “Ragazza scompare sul treno”, quanti anni pensereste che abbia la “ragazza” in questione? Nove? Quindici? Diciassette? La maggior parte delle persone probabilmente direbbe che ha vent’anni al massimo. Se fosse un po’ più grande, ‘ragazza’ suonerebbe infatti ridicolo, inesatto.
Ciò nonostante, quando si tratta di narrativa le cose cambiano. Il thriller che al momento sta creando scalpore su entrambi i lati dell’Atlantico, “La ragazza del treno” di Paula Hawkins, ci mostra una protagonista che i 20 anni li ha superati da un po’. Tecnicamente non è affatto una ‘ragazza’. In tribunale non verrebbe descritta come una ragazza, ma eventualmente come una “giovane donna”. Se si candidasse per un seggio in Parlamento i reporter non parlerebbero di lei come della “ragazza in lizza nel distretto x” perché suonerebbe sciocco.
Tuttavia, lo abbiamo già detto, per la narrativa valgono regole diverse. Non è “La donna del treno” ma “La ragazza del treno”. Per quale ragione? Donna suona troppo old-fashioned? Non è abbastanza figo? Parliamo forse di moda?
Nel lontano 1944 c’era “La donna del ritratto”, un film noir di Edward G. Robinson; nel 1943 Raymond Chandler ci ha regalato “Una donna nel lago”, nonostante la donna in questione fosse probabilmente della stessa età della Amy Dunne di “L’amore bugiardo – Gone Girl”.
Ah “Gone Girl”. Per alcuni critici il romanzo della Hawkins sta per ripercorrere la strada tracciata dal best-seller campione di vendite. Ma ecco una domanda per voi: quanti anni ha la protagonista femminile del libro di Gillian Flynn, Amy Dunne? Sicuramente ha più di venticinque anni, diciamo intorno ai trenta. In qualsiasi documento ufficiale non verrebbe descritta come una ragazza. Se si presentasse per una carica pubblica, i notiziari non riporterebbero: “Amy Dunne, una ragazza che viene da *** sta sperando di diventare ***”. Sarebbe una giovane donna.
Allora perché nel titolo non si legge “Gone Woman”? Probabilmente è un esempio fuorviante, perché in questo caso si perderebbe l’allitterazione, ma resta tuttavia una domanda legittima. Amy non è una ragazza. Non ha dei poster degli One Direction appesi sul muro della sua camera da letto.
Più ci si pensa e più il mistero si infittisce. Come mai “La donna in nero” di Susan Hill si chiama in questo modo? Perché non “La ragazza in nero”? Il pubblico risponderebbe: “Perché è più grande, non è una ragazza”. D’altro canto questo discorso vale anche per Amy Dunne, anche lei è più grande, non è una ragazza.
Possiamo spingerci a pensare che questo abbia a che fare con la politicizzazione del linguaggio, con il genere e la potenza? La parola ‘donna’, allora, potrebbe essere considerata più forte, più minacciosa, più incisiva rispetto a ‘ragazza’, più delicata, debole e vulnerabile? Ma forse così facendo coloreremmo la questione di sottintesi che non esistono.
Le parole che scegliamo sono spesso dettate dalle circostanze. Alla festa dell’ufficio, a un gruppo di donne di diverse età potrebbe essere rivolto un: “Come va ragazze? Siamo pronte per la festa?”. O anche un: “Come va signore?”, usando quest’ultimo termine in modo affettuoso, per divertimento. Tuttavia ‘donne’, in questo caso, non suonerebbe bene. Allo stesso modo, alcuni uomini potrebbero essere definiti ‘ragazzi’, bonariamente, o anche ‘signori’ in maniera affettuosa, virgolettata. Il linguaggio è un campo minato.
Il motivo per cui “girl/ragazza” stia spopolando nei titoli non è del tutto chiaro, quel che è certo è che nei prossimi mesi di libri con questa parola in copertina ne vedremo parecchi. Qualsiasi sia l’età della protagonista.