“Miss Sloane – Giochi di potere”: il ritratto amaro di un’eroina dei nostri tempi

John Madden costruisce un buon thriller sulla figura di Jessica Chastain, dark lady della politica a stelle e strisce

Un film di John Madden. Con Jessica Chastain, Mark Strong, Gugu Mbatha-Raw, Alison Pill, Michael Stuhlbarg. Drammatico, 132′. USA 2016

Stati Uniti. Elizabeth Sloane lavora, ottenendo ottimi risultati, per un’agenzia lobbistica legata all’area conservatrice. Decide però di andarsene quando si cerca di farla aderire a una campagna di supporto alle aziende che producono armi. Si vuole infatti contrastare una proposta di legge, che ne avvii la regolamentazione dell’uso, promuovendo una campagna che solleciti le donne ad armarsi per difendere i propri cari. Sloane porta con sé la sua squadra (con qualche importante eccezione) con l’intento di agire sul fronte opposto.

 

Arrivato al cinema tardi, a 44 anni, con “Ethan Frome” e messosi in luce con “Mrs Brown”, John Madden – vincitore dell’Oscar e dell’Orso d’Argento con la commedia di Marc Norman e Tom Stoppard, “Shakespeare in Love” – torna dietro la macchina da presa per dirigere un thriller politico-corporativo a tinte fosche completamente imperniato sulla sua protagonista, moderna dark lady dal fascino imperturbabile.

Tra il thriller politico e il dramma investigativo, “Miss Sloane – Giochi di potere” è un buon film di genere che poggia su una sceneggiatura collaudata e solida, su dialoghi brillanti e su un gruppo d’attori perfettamente cesellati nella parte.

La Miss Sloane del titolo è una superba Jessica Chastain capace di dare personalità a un personaggio ambivalente, contraddittorio, una donna-robotica infallibile, instancabile, ossessionata dalla vittoria, tanto da consumare e macerare se stessa e chi le sta attorno.

Madden si affida, dunque, alla centralità di una protagonista travolgente, che sembra aver fatto la scommessa più rischiosa della sua vita. Abbandonando il suo posto nella società nella quale aveva costruito fama e fortuna, Miss Sloane mette a rischio una routine che l’aveva spinta al limite. Fisicamente, eticamente e professionalmente.

Lo scontro che domina permanentemente il lavoro dietro le quinte della politica di Washington è senza esclusione di colpi. Il regista lascia intravvedere la violenza che regola il sistema, ma non vuole fare la voce grossa, piuttosto preferisce raccontare la sua protagonista, un personaggio dalla carica drammaturgica potente e incisiva.

Dal canto suo il regista britannico dimostra, comunque, di saper padroneggiare il genere del thriller politico dirigendo con l’occhio sornione di colui a cui piace mescolare bene le carte, spiazzare lo spettatore sommergendolo di informazioni, nomi, personaggi e situazioni, per poi tirare le somme e far quadrare tutto.

L’epilogo non brilla per originalità, ma lascia lo spettatore con un finale aperto e sospeso che rivendica l’origine europea del regista.

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